Infamia

Il caso Armando Verdiglione fu accompagnato da una grande campagna pubblica di disinformazione, d’impalcatura di un personaggio che sostituisse il cittadino. A partire dal 1985 il sostrato dell’invidia per la pratica pubblica dell’aedo del secondo rinascimento, sorto già dal 1973, la stampa dei comunisti fatti fugacemente si riempì di slogan che denunciavano il “Rasputin” della psicanalisi italiana e non solo. Come le campagne sovietiche della Čeka e poi del Kgb erano intese a screditare le loro vittime, e ci riuscivano, così il salotto buono della provincia Italia con l’intellettuale libero, anomalo, blasfemo, editore della dissidenza internazionale.

L’infamia del caso è la riproduzione economica della procedura per disintegrazione della polizia segreta sovietica, nelle cui campagne, in particolare in Ucraina negli anni Venti del secolo scorso, la gogna pubblica svolse un ruolo importante nello «spezzare» quanti venivano arrestati e indurli a confessare crimini mai commessi, oltre che, naturalmente, nel tacitare e terrorizzare tutti i loro conoscenti. In quel clima di fanatismo e odio, qualsiasi voci dissidenti non comprese nell’idealità del principio comune al potere o a una qualunque delle sue politiche poteva essere usata come prova di nazionalismo, fascismo, tradimento, sabotaggio o spionaggio. La variante inaccettabile per l’inquisizione e i suoi esperti, è che Armando Verdiglione non ha mai confessato i crimini che non ha mai commesso.

D.R. Grazie all’autore ignoto

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