LA LEGGENDA DELLA PITTURA
Capitolo I: Alessandro Taglioni
“Con la questione madre, l’arte e l’invenzione non muoiono sotto il segno dell’Unico.” Così ha scritto Armando Verdiglione. Dopo trent’anni, la questione arte ha ancora massimo rilievo nell’elaborazione della cifrematica.
Rilevo che all’inizio della mia partecipazione all’esperienza della cifrematica questo insistere sull’arte mi provocava un certo fastidio. Occorre ammettere che l’arte, nei vari periodi storici e nelle varie declinazioni in cui si è espletata, mi ha sempre interessato, e lunghi periodi appassionato, moltissimo. Merito indubbiamente di mia madre, che fino dall’età di cinque anni mi portava a vedere mostre a Bologna, fra le quali quella sui pittori emiliani del Seicento, che m’indirizzò all’interesse per l’arte per molti decenni a venire, con visite ininterrotte a mostre, pinacoteche e musei: Dopo Bologna, Firenze, Roma, Venezia, Milano, Arezzo, Siena, Ferrara, Parigi, Londra, Amsterdam, San Pietroburgo. Dunque, le parole di Verdiglione appena ricordate hanno un forte effetto di verità. L’invito iniziale di mia madre, con la quale pure ricordo di avere avuto talvolta un rapporto “conflittuale”, era stato efficace, esulando dall’uniformità propria di certi processi educativi. Eppure, in quei primi anni novanta del secolo scorso, nelle sontuose aule di Villa San Carlo Borromeo, a Senago, che di per sé invitavano a ricerche e approfondimenti sull’arte, mi aspettavo di ascoltare quasi esclusivamente lezioni, conferenze, master, interventi sulla psicanalisi, che ritenevo il motivo principale per cui mi muovevo da Bologna, allora mia sede di residenza elettiva, in quella città della Brianza. Avrei voluto dire, parafrasando Nanni Moretti nel film Aprile: “Professor Verdiglione, dica sempre qualcosa di psicanalitico!”, che non mancava mai, d’altronde. Come non mancavano mai gli accenni all’arte. “L’arte e la cultura sono inconsce, perché la loro struttura è secondo la logica, secondo la particolarità, secondo l’idioma, secondo l’inconscio. E “L’intersezione dell’arte e della cultura rispondono al modo della combinazione del corpo e della scena nel capitale della vita.” Dunque, “Nessuna economia della cultura e dell’arte; la cultura e l’arte non si definiscono, non stanno sotto l’idea di morte, non si rapportano al nulla.” Più recentemente: “Fra il suono del tempo e il suono della piega, fra l’arte e l’invenzione dell’automatismo pragmatico e l’arte e l’invenzione della piegatura, l’arte e l’invenzione della luce è l’arte e l’invenzione dell’ascolto.” Dunque, luce, ascolto, arte non sono estranee l’una alle altre, secondo l’elaborazione di Armando Verdiglione. “L’arte e l’invenzione dell’ascolto e l’arte e l’invenzione della vendita si scrivono attraverso la lingua diplomatica.” D’altronde Verdiglione ci ha sempre ricordato che l’elaborazione intorno all’arte è iniziata con quella della cifrematica, nel febbraio 1972. Ne ho avuto conferma dai suoi successivi interventi, nei libri che ha dedicato a essa, nei cataloghi e nei libri d’arte editi dalla casa editrice Spirali.
Inoltre nelle presentazioni di quelli che ho scoperto essere considerati gli “autori della casa editrice Spirali”, che non conoscevo ma che, a maggior ragione, sono stati l’occasione per scriverne, per organizzarne mostre, per presentarli al pubblico, per continuare l’elaborazione sull’arte a partire da questi. Grazie anche alle visite guidate estremamente precise e coinvolgenti e alla descrizione di ciascuna opera del museo della Villa da parte di Anna Gloria Mariano. Poi, l’esperienza della vendita, nel mio caso soprattutto di litografie, attraverso l’Art banking e la figura dell’Art ambassador. “L’arte e l’invenzione dell’ascolto e l’arte e l’invenzione della vendita si scrivono attraverso la lingua diplomatica.” I nomi di questi artisti, principalmente russi e italiani, sono diventati sempre più familiari, senza alcuna familiarità o familiarismo. Belutin, Lazykin, Christolubov, Gurwic, Antipov, Anikushin, Tereshenko, Lyssenko, poi Vangelli, Frasnedi, Ambrosino, Panichi, Bragaglia, Vacca, Nasso, Castellucci e i grandi marchigiani Trotti, D’Addario, Taglioni. E, nelle stanze di Villa San Carlo Borromeo, risuonavano anche i nomi di alcune scuole di cui questi artisti hanno fatto parte, come la “Scuola di Roma” in Italia e la moscovita “Scuola della realtà nuova”.
Ho appreso così che occuparsi di un artista significa averne conosciuto e considerato le opere, averne scritto, avere organizzato mostre e altri eventi su di lui, avere ascoltato loro interventi in pubblico e, dove presenti, avere letto loro scritti o scritti su di loro.
L’elaborazione di Armando Verdiglione e della cifrematica indicano che scrittura e arte sono inscindibili.
Con queste premesse, ho iniziato a occuparmi degli autori marchigiani della casa editrice Spirali, i citati Taglioni, Trotti e D’Addario che, insieme ad altri contemporanei come Licini, Fazzini, Trubbiani, Ciarrocchi, tutti in cinquanta chilometri tra mare e collina, costituiscono quasi una scuola a sé, con molte intersezioni con la ricordata “Scuola di Roma”, soprattutto con Sandro Trotti, o più con il Nord Italia, in particolare con il Veneto e la Mitteleuropa, con Alessandro Taglioni.
Sono, com’è noto, di origine marchigiana anch’io, vi ho vissuto e lavorato a lungo, e mi ci reco spesso. Degli autori marchigiani mi è sempre piaciuta la loro “fase” pittorica dedicata al paesaggio, alla collina, al mare, alle campagne del loro territorio, della loro regione, e Alessandro Taglioni in questo non fa eccezione. Non devono stupire questi richiami a una regione, che non è una provincia, anzi esclude il provincialismo, e a un territorio, che esclude la territorialità. Anche nella pittura di Alessandro Taglioni compaiono richiami al territorio e alla regione, ma sempre come “apertura”, come “regione del cielo”, come dice Armando Verdiglione.
Taglioni è venuto per sei volte negli ultimi vent’anni in Emilia, tre volte a Bologna, due volte nella galleria libreria “Il Secondo Rinascimento”, invitato da me e da Sergio Dalla Val, e un’altra nella sede del Circolo degli Artisti di Palazzo Isolani, e tre volte a Ferrara, nell’omologa galleria libreria, invitato da Stefania Persico. Il contributo dell’autore, intorno all’arte e intorno alla sua esperienza, è sempre stato straordinario, contributo di parola e contributo dato dall’esposizione delle sue opere. Posso dire, senza tema di smentita, che il suo intervento, in ciascuna occasione, ha dato un contributo specialissimo a quella che chiamiamo “leggenda della pittura”. Lo ha dato anche in quanto “cifrematico”, come “scrittore” oltre che come “artista”, essendo stato a lungo protagonista di quest’esperienza, nella quale si è occupato anche di formazione, essendo stato, tra l’altro e grazie alla sua grande capacità di ascolto e alla sua finezza linguistica, cifratore di molti, compreso il sottoscritto.
Nato, come detto, nelle Marche, a Macerata, si è formato come pittore presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, allievo di Emilio Vedova, ha poi frequentato a lungo l’atelier fondato a Salisburgo da Oskar Kokoschka. Trasferitosi poi a Milano, ha iniziato anche attività di grafico per i differenti aspetti del settore editoriale e per vari cataloghi d’arte della casa editrice Spirali. Per Taglioni si può senz’altro parlare di questione della “bottega dell’arte”. La sua formazione ha conosciuto vari momenti, che lo hanno portato a integrare pittura e grafica, lungo un’elaborazione, non certo terminata, con passaggi e arricchimenti reciproci fra le due esperienze, fino a quella della cosiddetta “pittura digitale”. Bottega anche come industria e produzione, in particolare per quanto riguarda la redazione di cataloghi, di libri d’arte e di libri di artista.
La sua pittura è passata da uno stile figurativo molto accurato, con predilezione per i soggetti pittorici architettonici o paesaggistico architettonici, a una pittura e a una grafica ugualmente precise e accurate, ma più astratte, con una ricerca prevalente sul colore. Nella prima fase ha tratto gran parte dei suoi soggetti pittorici dal panorama paesaggistico delle Marche, sua terra natale, della Sardegna, terra natale della madre, e del Veneto, dove ha studiato. Si tratta di paesaggi mediterranei, che lo hanno portato a un’elaborazione della luce che prosegue nella composizione, nella scelta e nella combinazione dei colori dell’attuale ricerca, e che lo hanno fatto definire dai numerosi critici che si sono occupati della sua opera, e compresi i cataloghi pubblicati su di lui, “pittore della luce”.
Critici d’arte importanti hanno parlato e scritto di lui. In particolare, Claudio Cerritelli, Giorgio Segato, Fabiola Giancotti, Enrico Gusella, Marcello Pecchioli, Sergio Dalla Val, lo stesso Armando Verdiglione. Ha partecipato a oltre trenta mostre, in Italia e all’estero, tra le quali quelle citate all’inizio, nelle nostre sedi, partendo sempre dalla sede di Villa San Carlo Borromeo, e due importanti a Macerata, di cui una organizzata dallo stesso Comune di Macerata. Ha scritto di lui Fabiola Giancotti: “Delle mode del Novecento Taglioni non si sente partecipe. Prova invece un approccio all’arte del Novecento. Eccolo lettore ora di questo, ora di quell’autore. Altra storia l’Ottocento, di fronte a cui non può trattenere la sorpresa, la meraviglia, il piacere di trovarsi ad ammirare l’opera di Hayez, di De Nittis, di Segantini. Lì Taglioni trova istanze originarie, attinenti alla pittura e alla sua storia, lezioni di mestiere e di vita, impressioni di pensieri e di idee.” Ma, soprattutto, Taglioni è stato ed è anche scrittore, un importante scrittore: di articoli, d’interventi nel corso di vari congressi di cifrematica, e di libri. Tra questi, ricordo La materia, dio, l’arte, per le edizioni Spirali, Ricettari. Pigmenti e tecniche. Il testo della pittura, per le edizioni Bertoni, Pitture digitali, Come dentro uno specchio: L’Europa nell’arte italiana, Spirali editore, L’Italia nella pittura, Spirali/Vel editore, La perfezione. Il miracolo del Quattrocento, Thyrus edizioni.
Tutta l’esperienza editoriale della casa editrice Spirali d’altronde ha coinvolto, oltre alla psicanalisi, alla clinica, alla filosofia, alla narrativa, meglio dire alla narrazione, anche l’arte come, d’altronde, e come considerato, ha sempre fatto anche la cifrematica. Ricordo la collana L’Arca, con testi singoli, corredati da immagini, di scrittori famosi che scrivono di due artisti, uno contemporaneo e uno illustre del passato. Ricordo i cataloghi, i libri d’arte, da considerarsi vere e proprie opere prime, alla pubblicazione dei quali Alessandro Taglioni ha dato il suo contributo. Ricordo poi i libri scritti da Armando Verdiglione, come Artisti e Scrittori, Artisti, appunto, in cui non si parla di arte in modo metafisico, non si fonda l’ennesimo metalinguaggio sull’arte o l’ulteriore sistema metacognitivo per “capire” un’opera. Scrivere dell’artista è sempre sottolineare il percorso che lo ha portato a dipingere un certo quadro, o uno scultore a scolpire o a modellare una statua, e in quale periodo. Con questo non si esclude la teoria, ma occorre avvalersi di una teoria dell’arte che non porta alla normalizzazione, al codice prestabilito, alla fissità ermeneutica, che è quanto di più lontano dall’arte ma che purtroppo, dal Rinascimento in poi, abbiamo visto ripetersi fino ai giorni nostri, soprattutto con la cosiddetta critica d’arte canonica. Ma è importante, come ha scritto Armando Verdiglione e come ribadisce Alessandro Taglioni ne La materia, dio, l’arte, non si ascriva a tale approccio.
Leggiamo nell’Introduzione:
«Dove sta l'arte? Oggi, non più dove stava prima. Prima, cioè nel Quattrocento e nel Cinquecento. Ciò che avviene nell'arte cosiddetta contemporanea è la decadenza che ha inizio con la reazione al rinascimento. E, allora, dove sta, dopo tutti i distinguo che sono intervenuti? L'idea della morte di dio, della morte dell'uomo, della morte della materia, della morte dell'arte ha prodotto interrogazioni speculari il cui risultato è la tabula rasa pop concettuale.
[...]
Una volta c'era la pittura "di genere", e ci si riferiva con questa a un certo modo, a un certo tempo, a un certo tema. Oggi, tutta l'arte è di genere: spesso, attraverso l’ideologia, ritenuta di divina o demoniaca ispirazione, come al tempo di Platone.
Tolta la materia, tolta la memoria, tolto il tempo, resta lo spettacolo.»
Taglioni affronta nel suo libro, ma un po’ in tutta la sua elaborazione, la questione dell’arte come questione intellettuale, dunque come questione che concerne la parola, ma anche le nozioni ad essa connesse, come quella di materia, intesa come materia della parola, o come quella di memoria. Memoria che non è il ricordo, non è la ricerca di quel preciso ricordo da rappresentare, da ideologizzare, da dimostrare, da indicare come: “era proprio così”, o “è proprio così”. La memoria, come l’arte c’insegna, è piuttosto quanto deborda, e quanto si tramanda proprio attraverso questo debordamento. Secondo un’elaborazione, che condivido con Alessandro Taglioni, il debordamento della memoria è anzi l’arte stessa, è l’arte che può giungere all’insegnamento. In questo senso la scuola, nell’accezione più nobile, può instaurarsi, insieme alla tecnica, come scuola d’artista. Quindi come tradizione che sfocia nell’invenzione. Tecnica, arte e invenzione come modi con cui la memoria traccia il suo cammino artistico e il suo percorso culturale. È quanto spesso la spettacolarizzazione, l’insistere sul lato spettacolare dell’arte, comporta. Ma soltanto con il Rinascimento, soltanto con Leonardo da Vinci, poi con Machiavelli e ancora con Ariosto, la memoria che sfocia nell’arte e nell’invenzione incomincia a chiamarsi scrittura, in un’accezione del tutto nuova.
Non è più la scrittura di Platone. È la scrittura della parola. Nei suoi libri vengono riportate sempre note di lettura in merito al testo dell'arte, con esempi del Rinascimento e della modernità: in Italia, in Francia, negli Stati Uniti. Una traversata del dizionario e del glossario italiani della lingua dell'arte, dei suoi strumenti e dei suoi mezzi, che affronta dunque i testi riguardanti l’arte di Massimo Bontempelli, di Benedetto Croce, di John Dewey, Ferdinand de Saussure, Georges Didi-Huberman, Mircea Eliade, René Girard, G.W.F. Hegel, Giovanni Papini, Sant'Agostino, Sant'Ambrogio, Armando Verdiglione e altri. Si tratta anche dei luoghi comuni, delle dottrine, delle ideologie e delle profezie che ciascuno degli Autori citati (filosofo, linguista, logico, teologo) annota con effetti nei decenni e nei secoli successivi quanto all'avvenire dell'arte e della cultura. Alessandro Taglioni non prescinde mai dalla “materia”. “Materia della parola” per quanto concerne la “scrittura”, “materia del colore” per quanto riguarda la pittura.
È l’autore stesso a precisarcelo, più volte e, in particolare, attraverso brani come questo, tratto da L’Italia nella pittura: “Impossibile quantificare i toni di un cosiddetto nero o di un cosiddetto verde. Si tratta di quantità e di qualità. Come poter nominare i colori? Impossibile. E non occorre affannarsi tanto a raggiungerlo, il colore. Impercettibile e insolubile, il colore esiste, ed è anche condizione del tono e del gesto dello scrivere.”
E “Impossibile qualsiasi pittura senza il disegno. Altro dalla tela: olio, matita e…biro. Tempera, pastello e…plastica. Rumore e silenzio. Il disegno del buio, le volute dell’aria. Scenografia della tela e della tavola. Il colore giunge prima della tela. L’appuntamento dello sguardo anticipa l’opera. Il colore è anche condizione del tono e del gesto dello scrivere.”