Perché la guerra

Introduzione

La guerre c’est la guerre? La formula impiegata in francese è quasi un ritornello: la guerra è la guerra, non può essere nient’altro che la guerra. La guerra che è la guerra doppia la guerra: è il dubbio originario, modo dell’inconciliabile. La guerra non è la guerra, perché si differenzia da sé e si divide da sé. Non si divide in due, in una svariata serie dicotomica fra guerra di offesa e guerra di difesa, guerra giusta e guerra ingiusta, guerra militare e guerra religiosa, guerra interna e guerra esterna, guerra di famiglia e guerra di tribù, guerra buona e guerra cattiva, guerra parziale e guerra totale, guerra breve e guerra lunga. La lista delle doppie guerre è infinita potenziale, in azione. In azione perché non è in atto. La guerra in atto è la guerra nell’atto di parola, la guerra che sfata ogni guerra arcaica, forgiata sull’idea della guerra futura. E qual è la guerra del futuro, la guerra immaginata e creduta, la guerra spirituale, che azzererà e annullerà ogni altra guerra? È l’ultima guerra, la guerra dell’ultimo tempo. Poi l’avvenire sgombro dal destino di morte e del nulla sarà radioso. E di ultima guerra in ultima guerra il massacro continua, e la guerra è legale, morale, spirituale. Alla tolleranza per l’assassinio dell’innocenza della vita di ogni altro, ognuno è intollerante della morte dell’animale, del vegetale, del minerale. Caino, agricoltore, può uccidere Abele, cacciatore, a condizione che non mangi animali, che non ammazzi una mosca. La città che fonda Caino è la città delle mosche: ognuno può volare nella bottiglia. E quando sorgono conflitti fra le città perché le bottiglie non sono tutte uguali: ogni mosca va a farsi tarpare le ali in guerra. E l’anfibologia fra mosche e mosconi doppia l’anfibologia fra formiche e formicaleone (Nietzsche). A questo animalismo fantastico s’affiancano l’animismo, l’antropismo, il sociologismo, il biologismo, lo psicologismo, quali dottrine che ammettono la guerra. C’è chi la insegna e c’è chi la impara. Resta la guerra intellettuale, imparabile.

La serie d’incontri dal titolo “Perché la guerra” è quasi un master sulla guerra intellettuale. Non è un master per conoscere la guerra arcaica, la guerra che ognuno conosce meglio delle proprie tasche, la guerra che potrei conoscere anch’io in quanto per lo stato italiano sono “orfano di guerra”. La guerra che è la guerra è presa nell’analisi, quale aspetto essenziale dell’atto di parola e della sua pratica. È la guerra che si sfata a suon di teoremi e di constatazioni, e a suon di assiomi e di coglimenti. È la guerra di cui nessuno ha idea. La guerra che nessuno conosce, la guerra che non è la guerra, la guerra come dispositivo d’interlocuzione linguistico immunitario.

In breve quella che è chiamata guerra è la guerra contro la parola, oggi è la guerra che l’oligarchia mondialista conduce contro la cittadinanza planetaria, che è nuda, anomala, clandestina, blasfema. Per ogni sistema sociale è ancora intollerabile la foto del giovane con i sacchetti di plastica della spesa che ferma la colonna dei carri armati di ciascuna piazza e non solo di Tienanmen, la porta della pace celeste dinanzi alla città proibita. L’assassinio dell’innocenza della vita del giovane è fatuo: resta il suo martirio, la sua testimonianza.

Gli incontri sono un laboratorio di lettura e di elaborazione dei libri militari della guerra e dei libri della guerra intellettuale, che non si prestano a nessuna anfibologia. Dai libri dei generali militari, da Sun Tzu a Carl von Clausewitz e oltre, ai libri dei “giullari” intellettuali, da Niccolò Machiavelli a Armando Verdiglione.

Il titolo degli incontri “risponde” al titolo del carteggio Einstein-Freud: “Perché la guerra?” (1932). Senza più il punto interrogativo. La risposta risiede in oltre quarant’anni di elaborazione della clinica della guerra, della clinica della parola: clinica senza patologia e senza criminologia.

Le quattro conferenze non hanno la finalità di produrre effetti sediziosi in una qualsiasi direzione. Né contro né pro la guerra arcaica: dinanzi nessuna ombra per difendere o  contrastare un determinato regime sociale. In questo contesto verrà solo esposto in che modo stiano le cose? No, la guerra non è la guerra  è una constatazione civile, immunitaria, di cittadino che non ha mai aderito e assunto l’etichetta di “orfano di guerra”. È  questione di un laboratorio di lettura delle dottrine della guerra, di analisi degli enunciati, delle mitologie, delle fiabe, delle favole, della saghe della guerra.  È questione di un laboratorio di lettura cifrematica, di scienza della parola, in cui è in gioco la procedura per integrazione e non per distruzione, e non per decostruzione, e non per demistificazione. La parola integra è illocalizzabile, come la sua guerra intellettuale. Nessun campo di guerra che obblighi gli umani al massacro. Nessun campo d’onore quale acme dei campi del disonore. L’onore della parola nella sua integrità è inderogabile. È per questa inderogabilità che senza coperture sociali, un cittadino lancia aquiloni fra le briciole del suo mulino e di altri mulini nel vento, nomadi delle galassie.

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Gli 80 anni del prof. Armando Verdiglione di Caulonia (RC) calabrese eccellente nonostante tutto

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