Poesia della vita
SPOLIAZIONE
È un volo obliquo la luce di quest’ora
che i cani raduna ad amari richiami
quando vorresti attendere qualcuno
per dividere un sorso e una canzone.
Giugno ha sguardi caldi e tenere lusinghe
per noi rimasti nudi a contemplare
il tempo che ci avanza.
Una cieca ragione ci sospinge
alla carezza che ancora ci sorprenda
alla bugia che ci aiuti a smemorarci
del nodo che s’aggiunge
alla lunga catena delle assenze
SALICE
Il mio corpo è salice
Un tristissimo salice
che piange carezze perdute
nella stagione della transumanza
Senza più linfa senza nutrimento
inaridite finanche le radici
nell’obliata memoria
di terra inseminata
E s’apre nudo l’occhio
della fronda che palpita
nel buio incenerito dell’attesa
RAGAZZE
D’estate le ragazze siedono
sulle scale di pietra
che salgono su per la collina
Hanno sorrisi e sandali lucenti
gonne lunghe piegate
fra le cosce floride
e braccia che s’allungano all’ignoto
L’attesa che brucia la carne
le fa calde e smaniose
di tuffarsi in quel mare
che le invita alla vita
Oh, provare almeno una volta
ad essere uguale a loro:
leggerezza e atterraggio
-fra infantili risate-
su leggero piumaggio
QUESTA CAREZZA
Questa carezza umbratile
che vibra sulla punta delle dita
veste il mio viaggio di esile certezza
e accende sulla spiaggia del ritorno
fuochi di festa per giorni senza fine
Ora che anche ti appartiene
la nota sfuggita al pentagramma
lasciami qui – su quest’Itaca
cinta di lamiere – arcolaio di luce
nell’andare che non conosce meta
EURIDICE
Lei cosí amata che piú pianto trasse
da una lira che mai da donne in lutto (Rainer Maria Rilke)
Allontana i tuoi passi
dalla mia notte
non ti voltare
se la mia voce ti chiama
e ti lusinga
Se mi guardi
è cenere il mio sangue
i miei piedi
un blocco di cemento
Ho contato mille volte
gli aironi
oltre la roccia scura
che mi bendava gli occhi
e ho cercato la luce
nel ricordo del canto
che mi spezzava il cuore
Ma seppi troppo tardi
che non fu amore
a spingerti
nel fuoco del mio inferno
e questo andare avanti
senza ali
questo precederti cieco
nella solitudine
è la condanna che predissero
gli aruspici rivoltando
viscere d'agnello
accanto alla mia culla
Il mio lamento è muto
non pretende pietà
né la dispensa
Dirotta la tua voce
ad altri orecchi
che mi si tolgano
tutti e cinque i sensi
che mi si lasci errare
per le vie del buio
prima di morire una volta
ancora nell'illusione
di essere raggiunta
ITACA
A un certo punto non c’era più riva
davanti al mio orizzonte avevo navigato
senza la bussola e senza il sestante
mille e più volte avevo dispiegato
e avevo ammainato le mie vele
l’oscurità mi aveva stretto al collo
l’oro del sole aveva coronato
la mia testa e il vento senza cuore
s’era abbattuto sul legno del sartiame
Ero fuggita dall’esilio condannata
per crimini fatali a percuotermi il petto
e a chiedere perdono
per avere corteggiato i sogni
Se avessi potuto riconoscere la direzione
dei venti e avessi saputo chiedere agli déi
di liberarmi dal male che mi viveva nelle vene
avrei riconosciuto la bonaccia
e aggirato la boa per il ritorno
PAESE
Ad aprile le ragazze
passeggiano al molo
hanno seni d'attesa
e fili di seta
negli occhi sanno l'azzurro
Al paese la vita è di sale
e l'odore del pesce
s'attacca sui muri
respira col vento
sui volti bruciati
Ad aprile la sabbia
ha sepolto l'inverno
Una folla d'uccelli
corteggia la Torre
e chi vive di mare
ritorna al mattino
con la luna sul volto
e le ceste ricolme
da portare al mercato
Ad aprile le donne
hanno il ventre possente
che dicembre ha gonfiato
nelle notti che il mare
sputava tempesta
Sulla piazza i fanciulli
s'inventano i giochi
e negli angoli bui
i più grandi
si tastano il corpo.
Al paese è grama la vita.
Ma ad aprile le luci
del porto impigliate
alle reti del molo
sono stelle cadute
nell'acqua sono mani
in preghiera
per la gente del mare
Alcuni testi sono inediti, un paio sono di una raccolta pubblicata 1986 dalle edizioni Il vertice, Nell’universo apocrifo del sogno, rivedute da poco tempo per farle confluire in un nuovo progetto editoriale.