Leggere Verdiglione

n. 23 Il passo del tempo

Lettura n. 23 de La psicanalisi questa mia avventura di Armando Verdiglione.

 

«Del sesso, nessuno vuol saperne» (p.34). Non che se ne possa sapere qualcosa. Nessun sapere sul sesso e nessun sapere del sesso. Però per quel “vuol” siamo nella parodia. Nessun vuol saperne del sesso. In questa formulazione, sospendendo la parodia, che forse è sospensione, il sesso diventa una categoria e fra le categorie si stabilisce il paragone, tra le varie declinazioni del sesso arcaico: sesso maschile, sesso femminile, sesso unico, transesso, bisesso, homosesso, eterosesso. “Nessuno vuol saperne” e dal sesso come categoria si passa alle modalità del sesso: volere il sesso, non volere il sesso, sapere il sesso, non sapere il sesso. E poi ci sono le varie coniugazioni tra le quattro modalità: volere, potere, dovere, sapere. Dovere sesso e non dovere sesso, in questo caso il sesso come servaggio. Potere sesso o non potere sesso, il sesso come totem e il sesso come tabù. Allora, nessun poterne sapere, nessun volerne sapere. E poi nessun sapere sul sapere poiché ci sarebbe anche il sapere del sapere del sapere del sesso: le modalità sono del confronto spettrale, per esempio tra chi ne vuole sapere e chi non ne vuole per niente sapere. Sono formule che si trovano in varie dottrine dell'amministrazione, della gestione.

 

«L’organizzazione burocratica lo presuppone [il sesso] assegnabile, in una specie di finzione sacra». La ristretta cerchia dei teologi a Bisanzio discuteva sul sesso degli angeli, ma per chi era già assegnato a quel destino, quella era la finzione sacra dogmatica, indiscutibile. Poi c'è l'assegnabilità burocratica e amministrativa come finzione profana: diciamo che la gender theory è una finzione profana dell'organizzazione burocratica. Nulla di intellettuale in tale questione, formulata da qualche ufficio universitario statunitense, che presuppone assegnabile il genere, anche nel suo colmo “fluido”. Laddove il genere è dato come scelta, non è altro che l’obbligo stremato all’assegnazione. È anche il destino assegnato nell’alternanza e nell’alternativa. Questo è il sesso come destino. E ci sono letture intorno al “sesso femminile” in particolare come destino, nel colmo del suo rifiuto. Sesso letto sia nel paragone sia nel confronto fra donna e uomo, fra donna e donna. Si aprono pseudo letterature sul destino al sesso maschile, sul destino al sesso femminile, sul destino all'ermafroditismo e sul destino a tutte le fantasmatiche infinite potenziali del passo del tempo. Tale raffigurazione tende a localizzare il sesso anche come sesso maschile e sesso femminile: appesi all’albero biologico o all’albero sociale. È una localizzazione del sesso, non senza le incertezze e le ambiguità che spalancano la questione del sesso al taglio, al passo del tempo. Al tempo impassabile.

Questa è la rivoluzione cifrematica di Verdiglione intorno al tempo e al suo passo: il sesso non come organo della sessuazione umana (Lacan ne scrive le formule misteriche) ma come passo, come taglio. E qui il tempo non è più logico, come presume ogni dottrina del tempo e non solo quella lacaniana.  

Quando gli umani cercano di rappresentarsi in vari modi il sesso, si tratta di fissare il passo, di misurarlo e di risparmiarlo. E la cosa è fatua. Il taglio del tempo, nel suo passo e nel suo piede, non può essere attribuito a una facoltà umana, cioè nessuno può tagliare né la corda né il filo del tempo. Non c’è un soggetto del taglio. Né taglio fisico né taglio metafisico. Alessandro che taglia il nodo di Gordio è una fake news, un’operazione speciale di cui si vanta ogni tiranno di turno.

 

Sin dai primi scritti, Armando Verdiglione distingue fra fantasma materno e fantasma, fra operatore dell’operatore e operatore. L’operazione speciale che “riduce” la guerra a un’operazione di polizia (così la Shoah) lascia che l’operatore si mostri nella sua spiritualità della guerra (come narra Carl von Clausewitz) e nella sua presunta elezione divina a idolo necessario della storia.

L’operazione è già il fantasma come operatore, è già l'idea come operatore e non idea dell’idea, ossia idea agente, meccanismo necessario della storia dello spirito.

In questa fase il taglio è qui operato dalla funzione di un nome, e non per questo la rende una funzione temporale, soggetta a un contratto a durata. E si preciseranno via via la divisione sintattica, la divisione frastica, la divisione pragmatica. Il taglio non va senza la funzione di nome: non c'è tempo senza la nominazione.

 Non c’è nessun elemento linguistico che possa non entrare più in una nuova combinatoria e in una nuova combinazione linguistiche.

 

Proviamo a proseguire intorno alla questione del nome, in alcuni enunciati di questa fase, impensabile per la sua difficoltà. Il nome s’incunea tra i significanti, il nome fa la differenza da sé dei significanti, il nome taglia il significante da sé e non in due metà. La funzione di nome non lascia una seriazione personale o sociale, né spirituale, né militare, né religiosa, né amministrativa. Non c'è eredità possibile del taglio per l'originarietà del taglio e per l'originarietà del tempo l'eredità possibile del sesso non c'è. «Il lapsus apre appunto un sentiero su cui cade il principio del sesso unico». Ha varie connotazioni questo sesso unico: è come l'energia libidica in Freud. Unica è la libido e quindi è quasi un'unica energia sessuale per uomini e donne. Energia sessuale spirituale. “Sessuale” e più propriamente “erotica”.

 E non come appannaggio di un sesso e nemmeno di una sessualità doppia, più che la presunta bisessualità mistica e misterica. Ma due sessi, due passi, un passo differente per l'uomo e un passo differente per la donna: questi due sessi sono saldati. È già il principio del sesso spirituale, l’unisex: il sesso unico è anche il principio del sesso dell'unico, ma l'unico non è unico maschile o femminile.

 

L'unico è la saldatura del maschile e del femminile, con varie figure, sia la donna tutta, cioè provvista anche di fallo, detta anche donna fallica, ma sia il sesso maschile come sesso unico, ma sia anche l'homo duplex come castrato cioè come chi ha assunto la castrazione quale padrone. Castrazione che non è un'operazione fisica. La castrazione è proprietà della funzione di nome, di zero che introduce la nominazione, per cui: «Il lapsus apre appunto un sentiero su cui cade il principio del sesso unico».

 

Poi i sistemi sono citazioni della comunanza sessuale e quindi dell'unisex, del sesso uguale e dell'uguale sesso: ognuno come portatore è già il soggetto. Questo è il sesso unico: ognuno come portatore dello stesso carico erotico. Questa comunanza, questo comune, questo munus insieme è il carico comune. Nella “comunanza sessuale” ognuno porta la gravità erotica del “commercio sessuale illimitato”.  Qui Verdiglione cita Engels.

E poi questo commercio “sessuale” è il commercio spirituale, il commercio erotico: commercio di morte e commercio del nulla, erotismo magico e erotismo ipnotico.

L'erotismo è la riproduzione economica della sessualità arcaica, della sessualità presunta arcaica. L'idea di sessualità dà l'erotismo, ma nessuno ha l'idea della sessualità come politica del tempo, come guerra intellettuale, come poesia, come impresa.

«Il modello familiare si dissolve per un corpo intrattabile che non si presta a fungere da supporto della necrofilia genealogica». Molto densa questa frase con laboratori a grappolo connessi. Intanto il modello. Quindi il modello e la copia, il modello familiare, e poi si aprono altre piste sul modello di gruppo, il modello di tribù, il modello di società, il modello genealogico, il modello gerarchico, sino al modello e alla modella nell'opera d'arte.

“Il modello familiare si dissolve”. Intanto il modello giunge a dissolversi non per un'operazione di un soggetto: non c'è un soggetto che dissolve, non c'è un dissolvitore, se non un risolutore o un solutore, ma giunge a dissolversi per un corpo intrattabile. È il corpo della parola, è il “dove”, da dove vengono le cose. Tale è il corpo nell'elaborazione di Verdiglione, e è con questa elaborazione che la nostra esplorazione prosegue e procede. Mettendo in gioco l’elaborazione per un corpo intrattabile, la parola non ha soluzione.

 

L'analisi è questa: non c'è soluzione. In ciascun caso occorre giungere ai teoremi e agli assiomi dell'analisi; e non c'è il modello familiare o sociale che possa porre una soluzione alla parola, porre la morte in luogo della parola. E così la famiglia arcaica si dissolve proprio per questo corpo della parola, per la parola intrattabile. Corpo della parola, corpo della nominazione, non corpo antropomorfo, non la rappresentazione antropomorfa, né fisica né metafisica. Possiamo dire: né antropologica né sociologica.

Persino «il modello familiare si dissolve per un corpo intrattabile che non si presta a fungere da supporto della necrofilia genealogica». Allora, sempre con la spia della parodia, del gesto, della formulazione, dell'aforisma del rocchetto, riprendiamo da Verdiglione la sua elaborazione del rocchetto di Freud, del Fort-da, modo dell'inconciliabile, e per questo c'è sempre ironia sul supporto della necrofilia genealogica e della necropatia gerarchica. Perché? Perché la filiazione genealogica e gerarchica è questione del principio di uguale e della sua acme di “disuguale”. Il padre non uguale al figlio, il figlio non uguale al padre, anche se poi la pretesa di ogni dottrina è quella della messa a morte per padre per l'uguaglianza tra fratelli.

È interessante, anche per questo aspetto, che il corpo intrattabile che non si presta a fungere da supporto sfati ogni immaginazione e ogni credenza nel comportamento. Nulla funge da supporto, nulla è da portare. Il corpo non tratta il corpo, non porta nessun corpo “portatore”. E nessun corpo nel corpo portatore. È il caso di Althusser: «in ogni uomo c'è un bambino perverso che detta la sua legge». Corpo nel corpo, animale nell'animale. Questo è il fantasma del cancro (il granchio) per l’uomo. E il segnale del narcisismo della vita non si converte nel segno di morte: da qui altri segnali.  

 

Verdiglione, a proposito del modello familiare, legge tra le righe in Engels (v. L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato) «la questione strutturale non genetica: “Da dove qualcosa viene”». E così sfata l'origine della famiglia e la famiglia d'origine. L’archeologia e la genealogia.  

 

«Edipo non è edipico». Bellissimo, e ci sono occorsi decenni per intenderne qualcosa, e altri occorrono.  «Già nell'isteria interviene l’enunciato: “Da dove vengono i nomi?”».  Edipo nel suo etimo indica il piede gonfio. Eppure che Edipo non sia tragico nell’elaborazione di Verdiglione sfata anche il gonfiore! Edipo non assume la peste che irrita Apollo. Apollo non è nome del nome, e Laio non è il padre da abbattere, né Giocasta è la madre nella condanna del rapporto sessuale.

Non è questione di lanciare l’editto per la caccia a se stesso. Sarebbe poi quella che Verdiglione elabora come questione dell’autocritica, e della desistenza dalla vita.

 La questione è quella dell'uccisione dell'innocenza della vita: morte del padre, morte della madre, morte del figlio. In riferimento al nulla.  

 

«Freud non ha avuto torto a insistere sull'identificazione che interviene appunto come atto di omissione». Si pongono qui molte questioni. Il questionamento è costante.  Forse l’identificazione dello specchio è un atto di omissione. L’identificazione dello sguardo e un atto di trasmissione. L’identificazione della voce è un atto di missione. Qui la missione intellettuale, senza più confini religiosi, militari, burocratici.

Varianti dell’atto mancato? Come può riempirsi l'atto di spirito? Saldando i canoni discordanti?  Con la sua iniziazione, i suoi gruppi, le sue bocche cucite dinanzi ai misteri? Mystes è chi tiene le labbra chiuse. Pertanto non resta meno mancato l’atto, che non è di riuscita personale e non è di riuscita sociale.  La riuscita intellettuale sta nell’atto di parola: in tal senso non c’è l’atto riuscito, l’atto di spirito, l’atto per contatto.

La riuscita è nell’approdo al capitale della parola.

 

Ecco una parte ancora più difficile, che forse era parodia della formula “relazione d’oggetto”, sulla quale ogni approccio psy ha lanciato la sua rete: «La relazione con un sembiante», quando l’oggetto della pulsione, della domanda, è già qualificato da Freud come “irrelato” e così accolto nel dizionario da Verdiglione. La relazione con l’irrelato? Parodia.  La specificazione nella procedura per integrazione giunge al sembiante che procede dalla relazione e risulta la condizione della relazione. Accennare all’aritmetica del due, alla relazione e al quattro aritmetico, singolare triale (distinzione, operazione, dimensione, stigmatica), richiede d’invitare i lettori a leggere gli scritti di Verdiglione, e a non accontentarsi delle testimonianze di lettura.

 

La relazione con un sembiante non rappresenta nulla. Il sembiante nella dimensione dell'immagine non si presta all'ontologia, non c'è l'ontologia e quindi la fenomenologia. Essere: ente, presente, “rappresente”. Il niente non rappresenta: è la formulazione che mi sono trovato a ascoltare alla mia prima conferenza di Verdiglione a Padova.  La sala del Palazzo della Ragione era più che gremita, e Verdiglione cominciò con: “Niente da vedere”! E niente da rappresentare, niente filosofia, niente psicologia, niente sociologia, niente dottrine religiose, militari, burocratiche. “Niente” vale proprio: non c'è più ontologia, non c’è quell’ente che poi finirebbe per trovarsi nella rappresentazione.   

Nella Dissidenza freudiana Verdiglione accenna alla nozione freudiana di “rappresentante della rappresentazione”, come quella più si avvicina alla nozione di sembiante, quale condizione della parola, quale causa e oggetto della pulsione. Non è che non intervenga nella lingua il “sembiante”, c'è anche in Dante, ma non con questo statuto, che «fa sobbalzare ogni rappresentazione» personale o sociale.

È parodia, che nessun spiritus rector possa reggere e convertire in caricatura. E non è nemmeno la ballata della rappresentazione, ma il sobbalzo di ogni rappresentazione. La rappresentazione è precipua per ogni uno. “Tutti” gli uno sono uguali: uno sta a posto dell'altro uno, e ogni altro uno sta al posto dell’uno. Tutto è intercambiabile, per il principio di uguale, per il principio dell’alternanza e dell’alternativa. Ecco che i rappresentanti sono anche rappresentanti di se stessi, all’ombra dell’Unico senza soci.  

 

Il sembiante fa sobbalzare ogni rappresentazione, di sé con gli altri (è il titolo di un romanzo postumo di Stelio Mattioni). “Un sembiante che non rappresenta niente” e “rompe ogni relazione intersoggettiva. Quella relazione di cui si cura tanto la psicologia universitaria”. Nonché la sociologia universitaria e la psicanalisi universitaria con la nozione di legame sociale. Intersoggettività, fra intrasoggettivo e extrasoggettivo. Dal paragone fra sé e sé al confronto fra altri, dalla famiglia, al gruppo, alla tribù, alla società.

La questione del soggetto è posta e elaborata da Armando Verdiglione. Ancora in Lacan: si fata l’anima e rinasce come soggetto diviso, più diamantina di prima, ossia come deckname, nome in codice, nome del nome, nome di cristallo. Bella questione che Lacan arrivi a sfatare l'anima come fantasma, e non arrivi a sfatare “anche” il soggetto. Anche il soggetto è un fantasma, un'ipostasi. E pure moltiplica i soggetti, la relazione presunta tra due, diventa il rapporto sessuale che non c’è, alla cui mancanza occorre supplire. E i due nel rapporto che non c’è (“il n’y a pas de rapport sexuel”) si fanno in quattro, in otto: ogni soggetto, che non è più l’anima, si arma di superìo, io ideale, ideale dell’io.  Dialogano tra di loro, ci sono opere letterarie infinite intorno al doppio e ai suoi multipli. Una prima rubricazione c’è in Otto Rank.

Per omologia e per omotopia, per il principio di uguale, ci sono algebre superiori e geometrie superiori per narrare la cosa sessuale, la “cosa mentale” per Leonardo.  Questione di parodia, e la parodia è un modo, non è una modalità animistica o soggettiva. La parodia non è a disposizione come un utensile personale, a portata di mano. Non è alla portata di mano della psicologia universitaria: «In effetti il suo oggetto irregolare quanto sregolato trae la matematica in un gioco fortuito». È anche il gioco della scrittura dell’esperienza dell’atto. E non c’è più psicologia.

 

«Un gioco in cui la serie non sottostà il debito». Siamo nella teoria delle funzioni, per dire così. Nella funzione frastica, dove il matema è un effetto. E la matematica è arte, techne. La “tecnica” del matema, senza sapere come causa, è gioco. Un gioco fortuito: nessun debito verso il nome del nome, verso il nome del padre, nessun debito metaforico, nessun debito spirituale, nessun debito sociale, nessun debito personale. La vita in debito? La moratoria?  Sfatato il fantasma del soggetto: nessun credito del credito per le dottrine del potere.

 

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