Leggere Verdiglione
N. 22 Il diritto senza pena
Appuntamento numero 22, di lettura de La psicanalisi questa mia avventura, ripartiamo dalle dense e complesse pagine 31 e 32.
L'isteria come un pretesto per il viaggio e anche come asterisco di costellazioni linguistiche, nell’adiacenza: la psicanalisi articola il “discorso psicotico” come una traversata dell’isteria. L'isteria di cui non c'è idea: è quasi la caricatura portata alla parodia, la parodia del sistema, la parodia del dio, la parodia dell'angelo e del diavolo, la parodia dell'amante e dell'amato. L’isteria è la parodia: il rocchetto del proseguimento. La parodia sovverte il concetto di inferno. C'è anche l’inferno superno e il superno-inferno, come modo del due, dell'inassumibilità del modo, non diventa una modalità dicotomica. Il modo dell'apertura è incategorico e immodale.
Il modale inferno, quando nel fantasma di godimento, non nel godimento originario come dispendio, il godimento ideale, è sempre mancato o deve essere sempre mancato. Se la società propone le modalità di godimento (volere, potere, sapere, dovere), l'isteria ne propone la parodia, quasi l’archivio linguistico della questione. Nessuna cancellazione.
«Quando nel fantasma propone un senso di colpa senza punizione, un senso di colpa estremo, inappagabile»: non abbiamo trovato nella lettura, nell'elaborazione di Verdiglione, ulteriori elementi intorno a questa formulazione, cioè di senso di colpa senza punizione. È un senso di colpa senza pena e senza punizione. Intanto l'etimo di colpa è lo stesso etimo di colpo e più che la sensazione del godimento che non c'è, si tratta del lutto, inelaborabile. E allora è una colpa inumana, inassumibile, punta con la questione del godimento, che non è un sentimento, è una colpa che non è un sentimento e non è una sensazione, è l'asterisco del controsenso del freudiano senso sessuale.
Quindi l'isteria sovverte, è forse ancora un lessema di Lacan, che proprio per queste nuove enunciazioni non regge più e che darà altra analisi, quella che è già “cifrematica”, ancora prima dell’avvio della tribuna che Armando Verdiglione avvia dal 5 febbraio 1973. Se fosse una sovversione sarebbe lo stesso verso sovverso, lo stesso universo, lo stesso poliverso, il verso ideale in tutte le sue variabili cantate e ballate. Un senso di colpa estremo, inappagabile. Non c'è appagamento, e non c’è la merce fuori serie come equivalente generale degli scambi e dei pagamenti. Quindi il godimento non è appagamento sostenibile, a portata della funzione umana, al lordo della morte e del nulla. Ed è la psicoanalisi a parlare di senso di colpa nel suo carattere insostenibile. Accento è la funzione di nome.
Quale sarebbe la più grande colpa? La base che diventa reato nel giuridismo? Vivere. Il senso di colpa è il senso di vivere, ma non è soggettivo, non è assumibile, provoca la disforia dei molti e l'euforia dei pochi, la disforia sottana e l'euforia sovrana.
Qui comincia il capitoletto “Una pulsione duale”, non una pulsione uniale, non una monopulsione, non una bipulsione, neanche una pulsione trinitaria di spirito, ma una pulsione duale: “due” come apertura e non come uno diviso in due, oppure come uno doppio, doppiato dal sosia.
«Per ignorare la follia il diritto - sul versante dell'io ideale – assegna la colpa attraverso la produzione del “fatto”». E che diritto è che ha il versante dell'io ideale? Il diritto spirituale, sociale, è il diritto di una schiatta, di una schiera, di una lobby sulla cittadinanza, il diritto ideale che assegna la colpa. È il destino assegnato, il destino ereditario, la colpa assegnabile. La colpa che nella cifrematica (nella vita) non ha luogo è qui assegnabile, e con l'assegnazione, con il segno segnato, con l'idea di segno: l'assegnazione è di ogni cosa. Ogni cosa significa. Assegnato è il destino, assegnato è il corpo, assegnata è la scena.
Il diritto ideale assegna la colpa attraverso la produzione del fatto. E a circa cinquant’anni dalla sua formulazione il misfatto è protetto e assistito dalla psicanalisi convertita in semiologia della pena e della penitenza. Il fatto quale ereditarietà della colpa (della famiglia tragica di Edipo o della famiglia comica di Strepsiade) è forgiato dall’ideale (del diritto e della ragione), dall’idea dell’idea, quale prolessi dell’opera a venire. È il dio prolettico il dio ridicolo dell’istigazione a ridere dell’isteria.
Per ignorare la follia il diritto è ideale, negato, sociale, anche quando è naturale, costituzionale e altro. È il diritto in cui l’Altro non ride. Chi ride della vendetta, chi ride di Edipo? «Basandosi su una struttura dell'isteria, [il diritto] conosce il fatto in quanto fantasma», è il fantasma della vita come reato, l'idea arcaica dell'ereditarietà e quindi della sua trasmissione.
La famiglia eredita la vendetta, la tribù eredita la rivendicazione, ecco perché i sovrani escono dalle famiglie e gli imperatori escono dalle congregazioni, dai tribuni del popolo, attraverso la produzione del fatto, nelle sue infinite dottrine misteriche, spacciate dagli scribi amministrativi del potere. Quindi già nel 1978, ma la nota è forse stesa prima, la data dell'articolo “La sovversione della ragione” è del febbraio del 1977, il giovane Armando Verdiglione sfata il perno della credenza nell’ereditarietà del fantasma, che per l’appunto chiama materno. Verdiglione, allora, ha cominciato da poco e non è “balzato” sulla scena sociale: ha instaurato un'altra scena con le conferenze, i convegni, i congressi internazionali, il lavoro editoriale, l'appuntamento settimanale di elaborazione, le assemblee, le équipe.
L’analisi della produzione del fatto e delle sue riproduzioni economiche è una costante. In sfumature differenti e varie che l'idea dell'avvenire forgia il passato è il totem (la via facile) di ogni dottrina misterica. Il concetto di fatto è misterico: esiste nella mistica finché ognuno tiene la bocca chiusa (mystès, l’iniziato, è questo), appena apre la bocca si dissolve l'immaginazione e la credenza nel fatto, e si dissolve anche il soggetto: ogni uno. Nell'atto di parola il fatto non ha presa e è questo “fatto” anche il “nucleo traumatico” come lo chiama Freud, che è la definizione della sovradeterminazione dell'inconscio, ma in realtà è il discorso della morte nei suoi termini, nella sua terminazione, nella prolessi della morte, prolessi algebrale o prolessi geometrale, e forse finché “algebrale” o “geometrale” può ancora elaborarsi, diventa pressoché impermeabile all'analisi, nella sua cristallizzazione in “algebrico” e “geometrico”. Quando l'algoritmo è algebrico e geometrico, ovvero quando ha cristallizzato l'algebrale e il geometrale, il muro del suono diventa un muro di gomma.
L'idealità nell'apologo intorno alla rimozione di Freud: costa ennuple volte lo sforzo di evitare la rimozione. Rimuovere qualcosa come la presunta rimozione soggettiva di qualcosa, porta come parodia dieci volte più del carico da portare. È difficile per un portatore intendere perché porta carichi misterici, quale sia lo statuto della portata, del portare, del porto, della porta, del portamento, della portazione, dell’importanza. La rimozione della psicanalisi rimane misterica.
L'isteria accenna alla nominazione, a cifremi che nessun luogo comune conosce, nella sua parodia estrema e quindi sfocia nell'analisi, conosce il fatto, già ironico qui, conosce il fatto in quanto fantasma, quindi non lo conosce, se avverte che è fantasma, non c'è la gnosi del fantasma. Il fantasma opera, l'idea opera, il pensiero opera. E inoltre il pensiero ha un etimo “pesante”, quello delle parole pesate.
L'idea dell'idea è il peso da portare e il peso da eseguire. È il sistema spirituale per evitare la vita, è la conoscenza dell'idea dell'idea: ma non c'è la gnosi del fatto ideale e l'idea opera, e il fantasma non tiene.
Verdiglione distingue tra fantasma e fantasma materno, ma è una duplicazione, la questione c'è già nella voce fantasma, il fantasma è la copia impossibile di qualcosa, e forse è la copia impossibile dell’idea. Ancora, l’idea dell’idea. Il cosiddetto “fantasma”, nelle fiabe dei bambini, sarebbe la sembianza di un corpo di cui non c'è corpo. E il fantasma si vede come se fosse vivo, come se fosse vero. Il fantasma è l'idea di quel corpo, l'idea dell'idea che il fantasma originario non c'è nel discorso. Il fantasma è l'originale di cui le altre copie costituiscono riproduzioni economiche, ma è già la riproduzione economica impossibile dell'originario. Quale? L'avvenire originario, l'avvenire che spetta a ciascuno e di questo avvenire non abbiamo l'idea. Resta la differenza linguistica fra il fantasma e il fantasma materno. Forse il fantasma materno è la cristallizzazione del fantasma.
L'idea dell'avvenire forgia il fatto: era già un cifrema, una proprietà linguistica, al debutto pubblico di Armando Verdiglione il 5 febbraio 1973. L'idea dell'avvenire non c'è, e allora il fatto arcaico non tiene, è fatuo. E non tiene perché la parola, nel suo narcisismo, è inderogabile. L’idea dell’avvenire è idea, operatore connettivo della mano intellettuale, nella sua aritmetica, che è numero e ritmo, struttura e industria della parola. È per l’insopprimibilità dell’operatore che l’idea dell’idea è fatua come agente della storia. La storia non è agibile: è la ricerca, l’andare intorno, la struttura alinguistica, introdotta dal “non” dell’avere e dal “non” dell’essere.
Il fatto è un’ipostasi, non tiene, la nevrosi e la psicosi (significanti istituzionali psichiatrici) sono fatue. La nevrosi, il fantasma del fatto, e la psicosi, il fatto preso a principio, non tengono, da qui questa altra “psicosi” nella provocazione di Verdiglione che è la materia della parola. La psicosi sottolinea la materia della vita in modo estremo, negandola, ma negandola pone in risalto la portata ineliminabile della parola, della vita effettiva e effettuale e non della vita ideale spacciata dalle fake news del potere.
Lo psicanalismo, protocollare, oltre che psichiatrico (legione sono gli psichiatri psicanalisti) e oltre che psicoterapeutico (legione sono gli psicologi psicoterapeuti psicanalisti) assorbe il sorbetto lacano-junghiano, dopo la pizza freudo-marxista. E perché resta, fra l’ingoiata degli ingoiati (L’avalée des avalés, Réjean Ducharme) e la vomitata dei vomitati? Che cosa enuncia? Quel che enuncia, e che ognuno scotomizza, è nell’asterisco delle costellazioni linguistiche indistruttibili. La procedura per integrazione anche negata resta per integrazione. L’asterisco è della materia indistruttibile del caso.
Il fatto come causa prima, l’ereditarietà (biologica, psicologica, sociologica, familiare, tribale) non ha mai funzionato e non funziona.
Un bambino o una bambina spacca gli occhiali dei genitori? Quasi non ha mai parlato dall’infanzia. E qual è la linguistica? Il gesto “parla”: il gesto è nella parola, non è fuori dalla parola. Perché l’assistenza e la protezione dei bambini “bollati” come autistici non funziona? Perché i familiari sono sempre disperati e non ce la fanno a reggere? A reggere cosa? Perché non abbracciano senza remore lo spiritus rector? Lo spirito della famiglia e la famiglia di spirito.
La famiglia arcaica, mitologica, non regge, e nei suoi altari ha tutto quello che tiene inchiodato al fantasma del fantasma, anche all’assurda differenza tra Asperger e non Asperger, quando i non Asperger, secondo il dottor Asperger, nazionalsocialista, erano quelli che venivano eliminati, perché non erano recuperabili.
Tutto questo macchinario del massacro chiede ancora oggi la sua analisi, la sua lettura e che il dibattito civile, che non è inesistente, vi giunga. Leggere i libri intorno all'autismo di Herr Asperger, lo scandalizzarsi per le uccisioni del dottor Asperger, non è ancora la lettura. L'analisi non c'è. E nell’infinito laboratorio cifrematico di Armando Verdiglione c’è un’elaborazione specifica e precisa dell’autismo, e di quell’autismo originario che non si lascia prendere nelle maglie del business e del management dell’autismo sostanziale e mentale.
A proposito di management: Johann Chaputot è uno storico e che ha ricostruito la nascita tedesca del management. Il suo alfiere, Reinhard Höhn, è non tanto un ex generale delle SS, poiché è rimasto un generale delle SS, che ha proseguito senza nessun ostacolo a fare quello che faceva prima, sotto il nome di “management”. Management è il suo addestramento militare, il suo reclutamento, è la stessa formazione degli agenti segreti di ogni paese. Il management insegna come reclutare, insegna che il cliente va reclutato e come. Nessun dispositivo d’interlocuzione: la parola come tabù. L’insegnamento universitario e l’insegnamento privato del management mantengono il segreto contro la realtà effettiva, intellettuale, civile, immunitaria dell’atto di parola, fuori dalla loro portata.
L'analisi della linguisteria del management, né pro né contro il management, va in direzione della restituzione in altra qualità, in altro testo. Perché non c'è il resto in quanto tale.
«E per vivere ci sono soltanto i fantasmi». Nel senso non della vivenza, ma della sopravvivenza e della sottovivenza, tra l'idea di vivenza sovrana e l'idea di vivenza sottana, tra l'idea di vivenza dei maîtres e l'idea di vivenza degli esclaves.
Ci sono soltanto i fantasmi? Oggi cogliamo la parodia in questa formulazione, perché non c'è il «per» di «per vivere», come se ci fosse la scelta fra la vita e la morte. È già la parodia. Vivendo, il fantasma arcaico è dissolto dall'operatore, dall'idea, l'idea non è il fantasma, il fantasma è l'idea dell'idea, e in tal senso è materno.
Allora è la sua cristallizzazione nel maternage, che abbraccia il management.
«Un fantasma viene dal niente dell'identificazione, in un rimbalzo dell’immagine». “Niente da vedere”. È l’aforisma di Armando Verdiglione all'avvio della prima conferenza che ho avuto l'occasione di ascoltare, a Padova, nel 1979. Non è questione di ente, di essere, anzi nelle funzioni della parola abbiamo il non dell'essere e il non dell'avere.
In un rimbalzo dell'immagine, quindi sarebbe una contro-immagine, un contro-fantasma. Forse il balzo dell’immagine viene dal corpo e il rimbalzo va con la scena.
Un fantasma viene dal niente dell'identificazione. L'identificazione non ha nulla di soggettivo, non è l’identificazione di qualcosa o di qualcuno. Il sembiante (l’oggetto e la causa nella parola) identifica. Non è l'identificazione tra A e non A, metà A positivo e metà A negativo. Questo A spaccato in due ha avuto un balzo e un rimbalzo letali dell’immagine, ormai divisa fra positivo e negativo.
In un rimbalzo dell'immagine e qui c'è la formulazione in direzione dell'originario per quanto riguarda il diritto, non più il diritto privato, il diritto pubblico e le sue altre forme, ma «il diritto non sa di fatti». Ironia che il diritto sappia o non sappia. Le modalità (volere, potere, dovere, sapere) sono presunte del soggetto. Le modalità esigono il soggetto, esigono il portatore, il träger, per dirlo nella germanofilia di Louis Althusser.
«E il diritto non sa di fatti, ne ha solo il fantasma come operatore frastico di contiguità e di paradossi». Densa e complessa elaborazione di Verdiglione che richiede più laboratori. Curiosa qui la contiguità, operatore frastico di contiguità, è così che Verdiglione legge la metonimia, lo spostamento, per contiguità, quale indice della funzione di uno. Contiguità che non è per contatto logico, di spirito. Un operatore frastico: non c'è un soggetto che operi la contiguità, l’opera è dell'operatore linguistico. La contiguità è sua.
Questione “sfiorata” nel Midrash, nel terzo modo della lettura: è la D di paradiso quella di “midrash”, la D di pardès. Nel Midrash la regola di contiguità è quella della semukha. Nell’ebraico moderno è vicinanza, “approssimarsi a”. Contiguità appunto che sarebbe il modo dell'approssimazione, forse per la cabala, approssimazione alla verità, che non è data nelle formule manifeste.
La cabala è una dottrina misterica, è la gnosi ebraica. Eppure Midrash e ghematria (sostituzione delle lettere con numeri e viceversa) sono esche dell’elaborazione. È un’arte la cabala. E forse anche per questo Nadine Shenkar ha scritto L’arte ebraica e la cabala (Spirali, 2000).
Poi l’elaborazione del diritto, avvolta nel pleonasmo, per Verdiglione si è arricchita di altri approdi e di altri valori assoluti. Il “diritto dell’Altro” non ha debiti con il diritto dell’uomo, con il diritto di ogni uno. Il diritto dell’Altro è il diritto senza pena e senza penitenza: un’istanza della cittadinanza nella sua innocenza e nella sua immunità. Un diritto che non c’era a Atene (non c’era nemmeno la parola “diritto”) e non c’era a Roma, con il suo diritto imperiale, senz’Altro. Un diritto che ancora non suona nella città planetaria.
Il fantasma come operatore frastico di contiguità e di paradossi, questa nozione stessa di contiguo è paradossale, perché c'è quel passaggio che la contraddizione blocca, ha o non ha, quindi in un ha non passa, ma se ha non è ha ed è nella funzione frastica che qualcosa interviene, si instaura, e per esempio che “A” è la certezza, e “non-A” è la non certezza.
Non-A concerne lo zero, il movimento, la sintassi, la condensazione, la metafora: è il contiguo? A concerne l’uno, il “riposo” (“eterno” per Freud), la frastica, lo spostamento, la metonimia: è il contiguo? La contiguità è intellettuale, non ha nulla di spirituale. Non è il contatto fra due uno o fra due metà dell’uno. Non è il luogo di passaggio. La contiguità non ha luogo. Nessuna geometria della continuità. E nessuna morfologia che la trasformi in fiaba. La contiguità è l’indice della combinazione e della combinatoria linguistiche. E nessun ha l’idea cella contiguità. Questione anche della narrazione come sogno e dimenticanza. Nessuna logica del sogno e della dimenticanza: nessuna presa nell’alternanza e nell’alternativa.
È un’acquisizione della cifrematica di Armando Verdiglione che il sogno non è ipostatico (come in ogni dottrina dei sogni) e è questione di narrazione e dei suoi enunciati.
II sogno è nella narrazione delle cose come vengono dal corpo (della parola), e nella dimenticanza delle cose come vanno alla scena (della parola). Il doppio sogno di Arthur Schnitzler riguarda due idee dell’avvenire nel loro girotondo.
Il concetto di sogno non è il sogno. “Ho fatto un sogno?” Il sogno non è un fatto, il sogno non si fa. Sono affermate come enormità (verità “sociali”) fantasmagorie grottesche: la grottesca era una figura senza fondamenta, librata nell’aria. E il diritto non sa di fatti: questione di contiguità e di paradossi. La contiguità fattuale, se esistesse, sarebbe al lordo della doxa: senza paradossi. Per il principio logico di uguale la dossìa è comune. E così paradossi senza contiguità si fissano nel nome del nome: senza più metafora e senza più metonimia. L’operatore sintattico e l'operatore frastico, diventano operatori di spirito, e così reggono l’umana sragione.
Ancora, «La ragione s’isterizza nel diritto che figura, cioè sospende l'infigurabile a un punto di rotazione della finzione». Non parlerà più così? L’alingua non è immobile. Noi lo leggiamo oggi e leggiamo questi enunciati che ci spingono in direzione dell’approdo alla cifra. Quale analisi, quale contributo, quale notarella, quale notiziuncola in margine? Notiziuncola, quale parodia della porziuncola, che è un lessema nella linguistica di san Francesco, era detta così la sua stanza, e queste due righe quasi richiedono: la ragione s’isterizza.
Intanto qui troviamo, come questo lessema, “isteria”, considerato terreno esclusivo della psichiatria, esige il laboratorio alinguistico, la sua analisi fra teorematica e assiomatica.
Esige la contiguità originaria. Alcune delle combinazioni e delle combinatorie di cui si occupano il midrash, la cabala e la ghematria sono asterischi della combinazione e della combinatoria originaria. Noi non possiamo far fuori nulla. Nessun enunciato è trascurabile. Gli enunciati sono la via del nostro intendimento. Lo scissionismo, che ogni Unico teme, inizia non leggendo più, non solo gli enunciati. Quindi leggiamo questa difficoltà: la ragione s’isterizza nel diritto. Nessuna critica della morfologia, della topologia e della semiologia della frase. È via l’analisi che la ragione e il diritto si specificano nell’elaborazione di Verdiglione come ragione dell’Altro e diritto dell’Altro. La cifrematica della ragione e la cifrematica del diritto non saranno mai qualche scaffale di una biblioteca universitaria: esigono la tribuna, il convegno, il congresso internazionale, l’edizione, il dibattito, che non ha nulla del contraddittorio logico.
L’Altro, non è l'Altro delle dottrine gnostiche, fra l’epistemologia e l’ipostasiologia. Non è l’Altro del discorso di Lacan, non è il tesoro dei significanti, dei vincoli obbligatori sociali: i significanti sono anelli della catena per Lacan.
Il diritto dell'Altro pone al diritto “arcaico” (che immagina e crede nel crimine più di qualsiasi criminale) questioni immense. Chissà quando il dibattito potrà cominciare a esserne sfiorato, senza spirito del fiore. I professionisti del diritto penale italiano, nella loro rivista più che secolare, discutono di Carl Schmitt, la loro formazione di giuristi è ancorata a Foucault. E le obiezioni all’elaborazione del diritto (senza pena e senza penitenza) evitano il testo di Verdiglione con l’uso della persecuzione, della prigione, della coercizione, del confinamento. È l’uso dell’assassinio dell’innocenza della vita. Le guerre del mondialismo hanno questo scopo, per rinsaldare i tremolii e le vibrazioni del mondo.
Del diritto dell’Altro, del diritto cifrematico, non c’è traccia in altri, all’infuori di Verdiglione e di qualche incursione eccellente, come quella di Sergio Dalla Val.
E così Pierre Legendre, psicanalista e giurista, che poteva avvantaggiarsi molto di più della sua conversazione con Armando Verdiglione, col quale pubblica un libro in italiano che non esiste ancora in francese, è fuori pista. Un fuori pista eccezionale. Parodiando: un nostro “archivista”, poiché molti materiali per l’elaborazione provengono dal suo laboratorio.
Gli “archivisti” in pista ci forniscono l'archivio di tutte le questioni senza che lasciano senza risposta. Noi abbiamo trovato così anche il libretto sull'autorità di Alexander Kojève. Ma Kojève che cosa fa, che cosa trova? Quattro forme di autorità e mettendole in gioco gli pare di intendere l’essenziale: le assume, non le analizza, le mette spiritualmente a giocare e a produrre qualche effetto. Fa così Lacan con i suoi quattro discorsi, mentre i quattro discorsi di cui parla Verdiglione sono parodie per l’analisi, non sono “i quattro discorsi di Verdiglione” come invece sono “i quattro discorsi di Lacan”. Verdiglione non ha quattro discorsi, non ne ha neanche cinque, non ha nessun discorso. La cifrematica, la scienza della parola: infinite costellazioni e infinite galassie linguistiche, in infiniti modi: nessuna modalità. Sì, Lacan arriva all'orso, al “disco orso corrente” (discorso), questa è ironia, ma non è ancora l'analisi, è la sua esigenza.