Leggere Verdiglione

n. 20 • L’inconvertibilità della parola

Leggiamo La psicanalisi questa mia avventura, siamo a pagina 32 e abbiamo accennato a questo dettaglio di difficile lettura, oggi ancora più di allora perché le nozioni sono nell'atto e nella loro via di specificazione e di precisione.

«È appunto dall'irresponsabilità inerente all'atto di dimenticanza, che procede l'irresponsabilità propria del discorso giuridico, come pure l'anonimato della legge».

Occorre leggere il passo che precede il nostro inciampo nell’elemento “irresponsabilità”.

«Il modello risulta distorto rispetto alla meta, con un ripiego del fantasma sul dire, per una contraffazione del detto, per un intradetto. La parodia produce la sproporzione dell'immagine in ciascuna mimesi, posta al di qua della morale non governata dall'ontologia, aperto a un godimento improprio e senza merito, allo svolgimento della parola […]. Produce l'inadeguamento, questo modello e l'intervallo della sostituzione in un processo di condensazione in cui la similarità fa il contrattempo».

 

Sono modi della breccia, anche parodia, modi dell'apertura. E in questi modi e in questi lessemi gli enunciati non sono più fissi e danzano. Non è la ballata del discorso, è la danza della vita e quindi è dopo questa lettura del modello che risulta distorto rispetto alla meta, che è appunto dall'irresponsabilità inerente all'atto di dimenticanza che procede l'irresponsabilità del discorso giuridico, come pure l'anonimato della legge.

Ci troviamo con enunciati che sono nella restituzione di Armando Verdiglione, nell’atto della sua elaborazione. Comincia nel 1973 questa restituzione? Siamo nel 1978 con questo libro, intorno al diritto, alla legge e a molte altre questioni. Lavoriamo intorno a questi elementi linguistici: qui è formulata l'irresponsabilità inerente all'atto di dimenticanza, per gioco e per arte della combinazione, di cui non conosciamo nessuna regola, contrariamente alle regole dell'interpretazione midrashica, di cui avvertiamo comunque una sorta di adiacenza. Più che vicinanza: è una costellazione adiacente a altre costellazioni nel nostro viaggio, quella della lettura midrashica, ma non esiste in quanto tale. Non basta dire che la psicanalisi è un midrash. C'è chi già lo scrive da decenni questo, in un’impalcatura fra la miseria e la povertà culturale e scientifica.

 

In questo gioco e invenzione nell'arte della combinazione e della combinatoria, all'atto di dimenticanza, l’irresponsabilità inerente all'atto di dimenticanza: allora responsabilità inerente all'atto di sogno. Il sogno viene dal corpo, la dimenticanza va alla scena. Così leggiamo da anni senza formularlo. “Irresponsabilità inerente all'atto di dimenticanza”, atto di dimenticanza in questa formulazione per noi è nella struttura della parola. È nella sua struttura e nella sua industria che procede l'irresponsabilità propria del discorso giuridico, ma qui è il “discorso” giuridico, non è neanche della giustizia o del diritto, ma del discorso, allora non è la stessa irresponsabilità. Sono le formulazioni di Verdiglione che richiedono questa lettura oggi, laddove alcuni lessemi dell’elaborazione intervengono  nella densità dell’adiacenza, e si serbano per  analisi e laboratori che verranno.

Noi poniamo oggi la questione dell’irresponsabilità propria del discorso giuridico. E sollecitiamo la formula dell’irresponsabilità inerente all’atto di dimenticanza. È nell'attuale che risponde l’atto, non risponde a come era l'arcaismo e neanche noi stiamo cercando di leggere l'arcaismo, ma quello che nell'atto ci giunge tra l'analisi e la lettura, ovvero, per cominciare, la seconda parte, l'irresponsabilità propria del discorso giuridico. Il discorso giuridico è discorso sociale, spirituale, misterico. Il discorso giuridico è al netto della giustizia e del diritto; diritto poi che in latino ha lo stesso etimo di giustizia, ius. La cosa vale il viaggio: com'è che «ius» diventa sia giustizia sia diritto?  E già c’è un balzo invalicabile che corre fra il nomos e il diritto, nella loro intraducibilità.

L'irresponsabilità propria del discorso giuridico, qui siamo nel discorso, siamo nell'idealità dell'atto. Il discorso come causa è la parola ideale, è la parola di sistema, è la sistemazione di tutti i lessemi in una loro fissità, dove stanno insieme. È quel che sta insieme sin dall'avvio, e non oltre nelle porte del paradiso.  Allora sarebbe  il sinodo, la cittadinanza planetaria.

“Irresponsabile” perché come discorso giuridico è esente dalla responsabilità: dal giudice al magistrato, dall’esperto criminologo o psicologo all’avvocato.

La questione giuridica nasce in Grecia e si formula nella tragedia: è posta dalla vendetta. È la vendetta che da familiare diventa tribale, è il collettivo interfamiliare, la tribù, che assume l'istituto della vendetta.

L'obbligo familiare alla vendetta che non è un'esclusiva delle cosiddette faide, diventa un affare di nazione, di popolo, di stato. Il nome di Dio, il nome del re, il nome del popolo, il nome dell'uomo sono affare di dottrine del potere, e è giustizia penale e penitenziaria, è diritto penale e penitenziario, è la società penale e penitenziaria: non si instaura la civiltà, si instaura la giustizia penale e penitenziaria e il diritto penale e penitenziario, con la loro ristretta cerchia di esperti e di esecutori. Coloro che sanno del diritto e addirittura lo dettano. Irresponsabili, in questo senso: i giudici, i magistrati, gli avvocati.

La responsabilità degli attanti della pena e della penitenza poggia sulla mercenarietà. È così che il giudice sbarca il lunario, è così che i magistrati sbarcano il lunario, è così che gli avvocati sbarcano il lunario. È così che i colpevoli e le vittime sbarcano il lunario; non è la società nella sua interezza. Allora, insistiamo: qui non è la stessa irresponsabilità quella inerente all'atto di dimenticanza e quella inerente al discorso giuridico. L’irresponsabilità nell’atto di dimenticanza è teorema: indica che per la dimenticanza non c’è nessuna padronanza della responsabilità. Mentre il discorso giuridico, nella sua irresponsabilità, è al netto del sogno e della dimenticanza: è l'incubo penale e penitenziario. Solo nell’atto è asterisco della giustizia senza pena e senza penitenza e del diritto senza pena e senza penitenza, al quale abbiamo dedicato un opuscolo.

 

Occorre distinguere anche tra l'anonimato della legge e l'anonimato del nome: qui l’anonimato della legge va con l'irresponsabilità del discorso giuridico, ossia verte intorno al discorso della legge e non alla nominazione. L’anonimato della legge non è nell'atto: è la legge spirituale, sociale che esclude gli anonimi e include i nomi acclamati, la nomenklatura.  Nell’atto è asterisco dell'anonimato del nome e nel discorso è la legge anonima, la legge nell'anonimato, e è in nome della legge che la legge penale e penitenziaria colpisce. Ogni legge è l'ultima legge per l'instaurazione della giustizia ideale: è quella che ha come “pendant” cerimoniale, obbligatorio, implacabile, l'uso della morte.

Il diritto penale e penitenziario, la legge penale e penitenziaria, la giustizia penale e penitenziaria, permettono a un ceto, a una ristretta cerchia di “responsabili”, di castrati, secondo la lettura clinica di Pierre Legendre, psicanalista e giurista, scomparso l'anno scorso, di regnare e governare sul resto immenso dell'umanità.

 

È “l'irresponsabilità inerente all'atto di dimenticanza” che ci pone oggi questioni. Per l'irresponsabilità propria del discorso giuridico, come pure per l'anonimato della legge, non avremo questo rilancio della lettura, che richiede anche l'invenzione dell'irresponsabilità inerente all'atto di sogno. Nessun assalto sul sogno, che sfiora anche l’interpretazione dei sogni di Freud. L'atto di sogno e l'atto di dimenticanza non si fondono, non si saldano, non concordano, non hanno bisogno di reggere il genere umano. Il genere umano non è retto dall'atto di dimenticanza e dall'atto di sogno, non è retto da una doppia ipostasi (il diritto romano e il diritto canonico) ma dal concetto di dimenticanza, e dal concetto di sogno, da un mistero doppio, da un arcaismo doppio,  dallo spirito del doppio, dallo spirito della convertibilità della vita e della morte, spaccio di ogni dottrina religiosa, militare, amministrativa.

Il sogno e la dimenticanza? Il conto e il racconto. Il va e vieni delle cose, il transfert e l’identificazione. La nominazione: l’aritmetica e la cifratica. L’afasia e l’alingua.

 

Siamo nell'introduzione del capitolo “Sovversione della ragione”, che si trova in un più ampio capitolo dal titolo “Come divenire analista”, che non è come divenire professionista o come divenire funzionario. È come divenire cifra e capitale dell’esperienza.

«L'isteria sovverte il concetto di inferno, quando nel fantasma di godimento propone un senso di colpa senza punizione, un senso di colpa estremo, inappagabile. Ed è la psicanalisi a parlare di senso di colpa nel suo carattere insostenibile».

Ci sono nell’esplorazione di Freud i criminali per senso di colpa. E ci sono anche i pazzi per senso di colpa. Corda pazza e filo pazzo. Pirandello annota chi tira sulla corda della pazzia, chi agita la corda della pazzia. Il “cogito” non è altro che questo, l'agitazione della corda e del filo del tempo. Eppure non sono agitabili, non c'è cocktail della corda e del filo, non c'è la corda e il filo spirituale, non c'è un cordame intessuto dei due. L'isteria sovverte il concetto d’inferno, ma se lo sovverte abbiamo sempre il concetto d’isteria a gambe per aria. Non è questo il caso: l’isteria è un elemento linguistico nell’atto e nel laboratorio di Armando Verdiglione.

L’isteria nella lettura e nell'analisi è già la parodia del sistema, la parodia delle dottrine religiose e militari, la parodia delle dottrine amministrative, burocratiche. È questione dell'instaurazione della ratio dell'Altro e del tempo, che non è una ratiologia, non è una logica della ragione: non sfocia nella ragione sufficiente di ogni beatitudine pneumatica. Nel fantasma di godimento ovvero nell'idea di godimento, nel godimento ideale, negato, è questione dell’assegnazione penale e penitenziaria della colpa: decretato il fantasma nessuno può astenersi dalla sua esecuzione, dal suo cerimoniale.

L’isteria irride l’assegnazione del destino: è irresponsabile di ogni esecuzione. Nella parodia è il senso di colpa senza punizione.  Nessuna idea del godimento. Non c'è idea di nessun elemento della parola. E la parodia sfata il destino assegnato dal fantasma arcaico, “materno”.

 

C'è l'idea come operatore nella parola, non è l’idea di qualcosa, non è un sistema di idee, come presume ogni gestione e ogni dottrina del potere.

 

Quando l’isteria nell'idea di godimento propone un senso di colpa senza punizione, allora la colpa non è una sensazione, è inappagabile, non c'è appagamento, non c'è soddisfacimento sostitutivo del godimento con la sua idea.

Il concetto d'inferno è fatuo come l'idea di godimento, e allora la colpa è senza più pena, senza più punizione.  Qui l‘isteria non ha più nessun debito con il suo concetto psichiatrico, che negli anni si è sciolto in quello generico di depressione.

 

Allora l’inferno sovvertito è  oltre superno-inferno come anfibologia? Nell’atto l’anfibologia  è un modo dell'inconciliabile, dell'apertura da cui procedono il labirinto e il paradiso. L'inferno non infernale come labirinto non labirintico, l'inferno tra le due funzioni, la funzione di zero e la funzione di uno. E il paradiso come quella regione della funzione di Altro, che è anche Altro tempo, e non è un tempo funzionale agli umani.

 

La colpa di vivere? È così nell’assiologia di ogni potere? La nozione di colpa senza punizione è la nozione di trauma, di sensazione. Freud parla di senso di colpa, non è il sentimento: è sensazione. La colpa è l'altro nome del trauma, della sensazione di trauma? Questione aperta.

 

Paragrafo: “Una pulsione duale”. Dualità di coppie impossibili? «Per ignorare la follia, il diritto - sul versante dell'io ideale - assegna la colpa attraverso la produzione del “fatto”». Qui è il diritto che si specifica, non senza vestis, non senza investimento, e si precisa il viaggio, non senza itinerario, non senza percorso, non senza cammino. È nella densità fra il diritto dell'Altro e il diritto dell'uno (dell’uomo), che è il diritto di un meta uno; e allora diciamo anche “ingloba”, che non c'è, non c'è neanche il diritto dell'uno, non c'è neanche il diritto umano, e non perché scorrazzino i disumani. Il cosiddetto diritto umano è il diritto del meta zero, ovvero il diritto dell'unico, il diritto del dominus. Il diritto del meta uno è il diritto dell'altro uno, dell'uno che procede dal basso e non dell'”uno zero” che procede dall'alto. E allora è il diritto dell'imperatore. Il diritto del dominus è il diritto algebrale, e il diritto dell'imperatore è il diritto geometrale. Il diritto che viene dal basso è il diritto della rivoluzione degli schiavi. L'altra rivoluzione è la contro rivoluzione dei padroni, che viene dall’alto. Rivoluzione impropriamente chiamata così: si è sempre trattato di colpi di stato.

«Per ignorare la follia» e qui la follia è già precisa, non è la pazzia, la pazzia è soggettiva, la follia è un aspetto strutturale del punto, siamo nell'aritmetica della distinzione, del punto. E la follia è del contrappunto, del contrappunto della voce. Il rigore è del punto, la follia è del contrappunto. E qui è importante il diritto sul versante dell'io ideale, nonché dell'ideale dell'io, ovvero sul versante dell'idealità. Questione del diritto ideale, diritto spirituale, diritto sociale, diritto penale e penitenziario. Diritto della colpa stremata, della sensazione di colpa stremata, dell'assunzione del trauma, quindi della vita traumatica, di tanti che convertono e non distinguono fra il traumatico e il trauma.

 

Non c'è nessuna convertibilità del trauma nel traumatico, il trauma non è attingibile, non è assumibile, nell’atto: “traumatico” è l'asterisco del trauma.

«Assegna la colpa», la colpa assegnata è la colpa traumatica, la colpa spirituale che ogni dottrina spirituale divide tra coloro che la amministrano e coloro che sono amministrati. Alla base l’aggiornamento delle due classi di Aristotele, e la bipolarità dell'homoplex e dell'homoflex, del padrone e dello schiavo.

 

La colpa assegnata, il destino assegnato, la vita assegnata, la vita rassegnata: il diritto “assegna la colpa attraverso la produzione del «fatto»”. Nel 1978, ne La psicanalisi questa mia avventura, il capitolo è del febbraio del 1977, interviene nell’elaborazione di Verdiglione “la produzione del fatto”. Forse noi non siamo ancora arrivati a intendere l’enormità di questo dettaglio clinico. L’implicazione per ciascuno è immensa. Il “passato” forgiato dall’idea di avvenire (quindi come già avvenuto) è fatuo. La fatalità è ipostatica.

La produzione del fatto: il modello da riprodurre è l'originale, non è l'originario, che non è alla portata di nessun fantasma. L'originale non è copia dell'originario: l’originario ideale è un ossimoro. L’originale è la creazione, la produzione, la forgia del “fatto”.  Il fatto arcaico, l'arcaismo senza principio della parola, senza le sue virtù. L'ingranaggio implacabile, che vincola ogni umano al fantasma, è prodotto e poi riprodotto: al modello seguono le copie, le copie delle copie, le copie delle copie delle copie. Ingranaggio forgiato dall'idea di sé, dall'idea di Altro. L’idea dell’idea ingloba l’idea di avvenire. Idea fatua, idea che non c’è. Non c'è l'idea dell'avvenire: non c’è chi possa averla o chi possa esserla questa idea di avvenire.  C'è l'avvenire nell'atto, nella parola, nel suo gerundio: non c’è l’avvenire logico reperibile sulla linea del tempo logico.

 

Non è solo un’ipostasi del diritto penale il fatto, l'aver commesso il crimine. La questione è che per aver commesso il fatto, ognuno ha commesso il crimine nella notte dei tempi e dei templi; e questo è il fantasma dell’uccisione del padre primitivo dell'orda di cui narra Freud.

 

Molto più della nobile menzogna del tiranno è la fake news della massa: ognuno ha ucciso il padre e ha perpetrato l'incesto con la madre. Ognuno è per questo vincolato alla pena e alla penitenza. Eppure il padre non è uccidibile, il padre non è l’uomo. Eppure l'incesto non è perpetrabile. La madre non è la donna. Padre e madre sono indici: come uccidere gli indici della parola? L’uomo non è padre nell’uccisione. La donna non è madre nell’incesto.

 

La favola delle favole, cos'è l'incesto? L'incesto è il rapporto sessuale che già è spirituale. Il rapporto sessuale è accentuato nel suo contatto di spirito, è il contatto di spirito il rapporto sessuale, e quando Lacan arriva a dire: il n’y a plus de rapport sexuel, sta dicendo che non c'è nessun contatto di spirito. Ma questo è leggerlo nel suo atto e non nel suo discorso, nel discorso Lacan rimane ancorato al buco nero, alla donna quoad matrem nel rapporto sessuale.

 

Il diritto «basandosi su una struttura dell'isteria, conosce il fatto in quanto fantasma». La questione è che l'uccisione, là dove ci scappa il morto, è il morto che scappa, nel senso che l'uccisione non fonda la serie degli uccisi, la negazione estrema della vita. Infanticidio, assassinio del padre, matricidio non si fondono, sono fatui e è per questo che il godimento che gli umani traggono uccidendo e stuprando, è quello che se ne trae da ogni forma mercenaria di vendita di sé e di vendita dell’Altro. Il fatto, la mercenarietà non tocca la merce, non tocca il commercio e neanche la vendita, non è la vendita degli umani, non è la mercificazione. C’è un altro Marx da leggere ancora, poiché “conosce il fatto in quanto fantasma”.

 

La produzione del fatto è la produzione del fantasma, del fantasma arcaico quale copia mortale della vita. Eppure il fatto è fatuo: nessuna fatalità può giungere a sostituirlo all’atto. Ecco che la genealogia e la gerarchia dei crimini, il sistema penale e penitenziario, si dissolvono. È questa una negazione radicale e pura di Tizio che uccide Caio? O di Giove che stupra Alcmena e le altre? La società non si fonda su X che uccide Y, non è questa la questione, questa uccisione non fonda la società: la società quale comunità di spirito e di uguali si fonda sull’assassinio dell’innocenza della vita.

 

Il diritto di uccisione (il diritto della vendetta penale), diritto di penitenza sino alla pena capitale, ottiene l'autoriproduzione del sistema (“che dura quel che dura”), non ottiene la rieducazione, non ottiene la pace sociale, non ottiene nulla di ciò che promette e realizza tutte le sue minacce, vivrete una vita stercoraria, assoggettati a una piccola schiera, che per essere piccola schiera, pratica quel che decreta: il plagium sui, e sono i segretari di se stessi, si sono autotrapiantati il cervello con la sua copia. Come quell’industriale che, nell'ufficio della sua impresa miliardaria, teneva la copia di un Mondrian, tenendosi a casa l'originale. Allora nella sua vita nell'ufficio, lui era il segretario di se stesso, con le sue copie e ivi compresa la copia del suo Mondrian.

 

«E per vivere ci sono soltanto i fantasmi». Certo, nella parodia: “per vivere” non è vivendo. «Il fantasma come operatore frastico di contiguità e di paradossi»? Per sfatare il sopravvivere e il sottovivere. La vivenza che si ha sopra e sotto non è il gerundio, non è il “vivendo”. La parodia fa il verso? È la copia impossibile? È il modo dell'inconciliabile, il modo effettivo e effettuale.

 

«Un fantasma viene dal niente dell'identificazione, in un rimbalzo dell'immagine », Un fantasma? Un’idea? Idea di cui nessuno ha idea, è quell'operatore che dal niente dell'identificazione e del transfert connette gli elementi linguistici nei loro “come”. L’immagine dell’immagine che non c’è: pare, sembra, appare, rappresenta, copre, impalca, monta, mostra, pellicola, blocca, incolla, ingomma, cristallizza? Ecco il contrappunto: contro-specchio, contro-sguardo, contro-voce. Si odono e l'idea di cui non abbiamo nessuna idea, si ode, è inidentificabile perché è l'identificazione del sembiante, non è del soggetto dell'idea, né di sé né dell'Altro.

 

Allora: tu, io, lui, nella serie che non è una serie, che non è una serializzazione. Tu, io, lui: tu quale specchio, io quale sguardo, lui quale voce. Ma non è lo specchio specularizzabile, è il sembiante, è l’irrelato, non sta mai al suo posto, addirittura la formulazione di Verdiglione era che lo psicanalista ne occupa la posizione impossibile. Parodia, se non aporia: come occupare l’inoccupabile?

Lo psicoanalista sta dove apparentemente avviene il tiro al bersaglio, dell'io, del tu e del lui. L'io, il tu e il lui, tra il paragone e il confronto, ovvero presi idealmente nelle categorie dell'uguale e nelle modalità spettrali. Si situano qui la morfologia della fiaba e la topologia della psicanalisi, che sono fatue, come gli idoli e gli spettri che si appendono al diagramma spirituale.

 

Il niente è un teorema, non c'è più ente, non c'è più ontologia. «Un fantasma viene dal niente dell'identificazione, in un rimbalzo dell'immagine». Quindi la contro immagine, l'immagine contro, una nozione intellettuale di controtransfert. Mentre nelle consorterie divine in materia di psicoterapia il controtransfert abita sempre nella soggettività e nella sua acme l’intersoggettività.

Il controtransfert è l'identificazione quale contro-identificazione? È la contro-immagine? L’immagine è nella sua follia in un rimbalzo? Il rimbalzo come indice del la semovenza e dell’alterità dell’immagine. E per questa via: nessuna immagine fissa, da adorare o da dissacrare.

«E il diritto non sa di fatti».  Anche in Edipo tiranno, il fatto causa della peste è un fantasma di Apollo, un fantasma del potere: proclama che va con il suo cerimoniale obbligatorio. Il diritto che poi in Verdiglione si preciserà come diritto dell’Altro, anche nella traversata (lettura) dei diritti umani, come degli arcaici diritti divini, naturali o artificiali.  Qui è il diritto dell'Altro, il diritto che non sa di fatti, ne ha solo il fantasma come operatore frastico di contiguità e di paradossi.

 

Ecco una questione interessantissima: “operatore frastico di contiguità”, e forse Verdiglione riprende qualche volta la questione della “contiguità”, mentre l’elaborazione dell’operazione frastica è una costante. È questione della contiguità per via della lettura della Semukha, una regola del Midrash, che insieme a un’altra regola, la Ghezara Shavah, ho incontrato leggendo alcuni testi dell'amico Gérard Haddad. La Ghezara Shavah enuncia la discontiguità: l'intervento di un elemento linguistico in due contesti differenti, non contigui implica Altro, come funzione e come variante. La Semukha enuncia la contiguità: si conclude una frase e ne comincia un'altra, i due elementi linguistici contigui implicano Altro, come funzione e come variante. Non sono figure logiche, e per questo il Midrash è un'arte, con i suoi dispositivi, che sfata la mitologia dell’unico interprete perfetto.

Operatore frastico di contiguità e di paradossi? Sì, anche nel come la combinazione e la combinatoria linguistiche siano contigue allo stesso Midrash. Per noi è una costellazione nell’adiacenza linguistica.

 

«La ragione s’isterizza nel diritto che figura, cioè sospende l'infigurabile a un punto di rotazione della finzione»: richiede lettura e lettura. Intanto sospende l'infigurabile. Sospensione impossibile: nessuna idea della figura da convertire in figura ideale, dettata dalla volontà dell’élite e spacciata come volontà generale.

Ancora: la ragione s’isterizza? L’isteria irride i monopoli della ragione e le masse sterminate della sragione. Il diritto che figura? Il diritto umano che figura, raffigura e defigura l’innocenza della vita, vacillando in direzione inversa: in direzione della morte ultima. E così la figurazione del diritto sospende l'infigurabile a un punto di rotazione della finzione: ognuno vede la finzione e la scambia per realtà, come insegna Platone nella sua caverna. Questa sospensione si ottiene appendendo, non è una sospensione intellettuale: è un appendere qualcosa all'albero della conoscenza, al diagramma dell’ombra dinanzi, con il suo punto fisso o punto d’incrocio. Com’è il diagramma di Descartes.

Il diritto che figura è il diritto spirituale, fatuo, e resta infigurabile il diritto dell'Altro.  L'infigurabile sospeso a un punto di rotazione della finzione? La finzione perno, centrale, assiale, cruciale? Laddove l'infigurabile è strutturale, c'è il tentativo mancato di sospenderlo all'albero della conoscenza del bene e del male, poiché si tratta di un punto di rotazione della finzione: punto centrale di equivalenza al cerchio. Il punto di rotazione della finzione è potenziale in ogni punto del diagramma dell'albero di Cartesio. Ogni punto preferenziale doppia il punto centrale, non è il centro nella parola, che illocalizzabile: è il sembiante, l’irrelato.

Quel che non ha lato e procede dalla relazione sfugge a ogni diagrammatica dello spirito, alla sua coordinazione. Le coordinate (le ordinate e le ascisse) non localizzano il centro: dove è presunto essere, all'incrocio tra i due assi, non è localizzabile e dà forza a fantasmi sui quali insiste Hollywood. Abbiamo il buco nero e il buco bianco, abbiamo peraltro tutti gli altri buchi, abbiamo il buco grigio, il buco opaco, il buco d'ombra, il buco multicolor, il buco colorato e abbiamo il mondo rischiarato dal sole nero, sul quale conclude, per lasciare un enigma, Philippe Sollers, nel suo romanzo d’addio alla prima vita per La deuxième vie : «Si le néant est là, il est là, en train de voir le monde éclairé par un soleil noir».

Come leggere perché un sole nero possa rischiarare (che rischiari il mondo è la parodia)? Perché è il punto fisso, il punto centrale, il punto d’incrocio. Il punto coassiale è sia buco bianco sia buco nero, è sia sole bianco sia sole nero. Che addirittura sia un punto di rotazione della finzione: «questa ribalta la convenzione invece di presupporla». Questa è la parodia di Verdiglione: la sua versione del ribaltamento è nella parodia, è l'introduzione di quest'altra cosa che verrebbe ribaltata. La sua versione della ragione introduce la questione della ragione nella parola; sebbene non sia sovvertita. La parola sovvertita – nella parodia - è la parola spirituale, la parola rotante, che può di ribaltamento in ribaltamento, di rovesciamento in rovesciamento, di rivoltamento in rivoltamento, di rivoluzionamento in rivoluzionamento, diventare «ciò che si sottrae nell'allucinazione, l'angolo incontrollabile del gioco dell'illusione». La parola si sottrae alla convertibilità in discorso.

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