Terra rara! Terra rara!
La guerra dei metalli rari
Oggi la stragrande maggioranza delle terre rare è estratta in Cina. I numeri non possono lasciare indifferenti: Pechino è il primo produttore di 28 risorse minerarie indispensabili alle nostre economie, con spesso una percentuale superiore al 50% della produzione mondiale. Il Giappone ha il maggiore stock di terre rare non ancora riciclate dal disuso corrente, non ancora redditizie.
La posta in gioco dei metalli rari è valutata senza la parola ma secondo i discorsi ideologici, essoterici e esoterici, delle oligarchie dei paesi produttori. I metalli rari sono considerati alla stregua di armi. Il costo dell’impiego di metalli rari si conta in chili di CO2. I calcoli più specifici sulla questione indicano, contando anche l’estrazione dei metalli rari, le reti elettriche per le ricariche delle batterie, che le emissioni di anidride carbonica non sono minori a quelle che provengono dall’uso del petrolio.
Anche nel libro di Guillaume Pitron, La guerra dei metalli rari. Il lato oscuro della transizione energetica e digitale (edizione italiana della Luiss University Press, 2019, edizione originale francese Les Liens Qui Liberent, 2018), la questione è geopolitica e non intellettuale. Geopolitica – termine che impiega persino la teosofia russa – indica che si tratta di una spartizione fra blocchi oligarchici mondiali, con i loro dittatori e i loro presidenti. Resta che il libro di Pitron è una testimonianza civile (un’indagine di sei anni) assolutamente da leggere.
La mappa delle terre rare sembra compiuta, fra quella di cobalto del Congo a quella di litio
negli altopiani dell’America latina. Il litio per le batterie per le auto elettriche sarà sempre più impiegato, come se non fosse raro. La batteria di un auto elettrica pesa per un quarto del peso totale. Ma le stesse ricerche dove la manovalanza è quasi a costo zero non sono condotte nell’occidente. Pitron nel suo libro offre al mappa francese delle miniere di terre rare dismesse, per scarsa redditività, consegnandosi così, non solo la Francia, al monopolio cinese.
La mappa delle terre rare d’Italia è da fare e da inventare, come la ripresa di fonte energetiche in Italia, per non essere più facile preda di ricatti, che possono venire da ogni dove, non solo dalla Russia.
Questo è il mondo in cui al dominio statunitense incentrato sul controllo delle risorse petrolifere è seguito quello cinese ancorato al controllo dei metalli preziosi, come preconizzava già nel 1992 Deng Xiaoping.
Ecco i balsami misterici che accompagnano gli studi geopolitici, che sono misterici. Non basta dire che è una guerra combattuta spesso in silenzio e lontano dai nostri occhi. Si cita lenitivamente Albert Einstein: “Non si può risolvere un problema con lo stesso modo che l’ha generato”. Ciascun cittadino ha interesse a non delegare nulla e a analizzare il tentativo di dominio e di controllo sulle terre, come sul grano, come sul petrolio, come sul cibo. Basta non l’analisi della repressione sessuale che ha lasciato passare ogni pressione infame ai genocidi interni e ai genocidi esterni.
Una rivoluzione industriale, tecnica e sociale ha senso solo se si accompagna a una rivoluzione della coscienza? Ognuno prende coscienza e poi attraverso il suo comportamento limita lo sperpero? La rivoluzione industriale non è sociale: è intellettuale, poetica, imprenditoriale, pragmatica.
L’analisi dei costi ambientali, economici e politici conferma la geopolitica e la dipendenza della spartizione fra oligarchie.
Non abbiamo problemi di materia ma di materia grigia? La rivoluzione non è della coscienza è della vita che non accetta l’alternativa e l’alternanza fra crescita e decrescita. La materia non è grigia: è intellettuale. Attribuire il colore alla materia offre la materia colorata dell’oscenario.
La guerra dei metalli rari è senza la parola. Occorre che s’instauri.
Non è questione di piangere lacrime di coccodrillo sul mondo segnato da disuguaglianze e conflitti, e su un pianeta sofferente. Chi cerca l’antidoto ai metalli rari trova un nuovo veleno. Occorre anche dire che per l’Occidente l’indipendenza nelle materie prime s’inscrive in un patto per la riuscita, come nel progetto Secure Critical Rare Earth Magnets (SCREAM) for the UK, che riguarda le terre rare dei magneti per i motori dei veicoli elettrici e i generatori delle turbine eoliche, specialmente per i parchi offshore. E la linguistica del progetto si può ancora affinare: non è questione di creare una filiera circolare e sostenibile per i magneti di terre rare. La circolarità della filiera indica che si tratta sempre dell’ennesima guerra mondiale che non dice il suo nome. L’indipendenza è già nel progetto, che non ha nemici nel progetto degli altri, Cina compresa. Quanto al lessema misterico “sostenibilità”, super politicamente corretto, indica che i suoi attanti barcollano e prima o poi soccombono.
Un’altra scommessa civile è nella posta in gioco della Groelandia, ricca di petrolio, gas e terre rare; Il sito di Kvanefjeld è il più grande deposito al mondo di terre rare. I cittadini che cosa richiedono? Criteri civili per l’estrazione, e non che ci sia chi paga con la perdita della salute e della vita la transition green.
La terra senza la parola civile oscilla solo fra la foresta e il deserto.
Le terre rare di cui si parla nel libro sono la colonna portante delle società moderne e richiedono humus e l’humanitas della terra, in cui ciascuno è cittadino.
Il futuro del pianeta non è da sperare: è in atto, e in tal modo non si trasforma in un terribile incubo. Chi si attiene alla parola civile e alla sua testimonianza procede dalla speranza e non dispera mai, come i cittadini ucraini.