Leggere Verdiglione n. 18
Non c’è più soggetto
Un’altra citazione, questa dagli Scritti di Lacan: «anche eliso il desiderio resta sessuale». “Detto” da Lacan è erotico, vale “anche eliso il desiderio resta erotico”, ma ha scritto “sessuale”, giacché anche oggi rari distinguono qualcosa fra erotismo e sessualità. Con questo chiasmo fra erotismo e sessualità allora è godimento sessuale, desiderio sessuale, piacere sessuale.
Per Verdiglione è già questione di un altro statuto del desiderio nell’atto di parola e non nel discorso erotico, il discorso della festa, il discorso della morte. Si tratta del desiderio indistruttibile, che colto in Freud è sottolineato come desiderio senza più soggetto. Non è questione di avere il desiderio o essere il desiderio, cedere o non cedere sul desiderio. Non è volere potere dovere sapere il desiderio. Sin dal cominciamento la strada di Armando Verdiglione è sgombra dal misticismo, dalle esigenze delle dottrine misteriche. Porta a parodia il soggetto con la nozione di soggettuale, ovvero dell’evento.
«Platone ha una considerazione poco classica poco artificiale della scrittura. L'artificio invece è una scrittura senza follia». Perché? È un artificio in Platone, è un artificio di cui dispongono gli scribi, i sacerdoti. Erano sacerdoti i filosofi, come erano sacerdoti gli scrittori di teatro, fra tragedia e satira. «Nel potere di dare la vita e l'essere secondo il senso acquisito di formare. L'artificio postula una scrittura di gruppo sul principio del nome dell’artefice» (28). Così anche nel Novecento la scrittura di gruppo, chiamato Nicolas Bourbaki, rispetto alla matematica. Il principio del nome dell’artefice è il principio del padre morto.
Sotto il giogo della scrittura di gruppo è negata la libertà della parola, bisogna parlare rimanendo nella struttura del gruppo, sotto schiaffo dell’unico.
L'artificio postula una scrittura di gruppo sul principio del nome dell'artefice. La questione è che il principio del nome dell'artefice è l'idea di scrittura che forgia il suo passato. Lo forgia come? A fake news, a calunnie.
«L'enigma della sfinge è l'enigma della nominazione». Il varco che Verdiglione instaura rispetto alle dottrine misteriche dell’Ottocento, è quello della scienza della parola, la scienza di vita, non solo rispetto al freudismo e al gallacanismo che tutt’ora investono nei brocchi beati e nella logica del significante.
La nominazione sfata l'indovinello della sfinge e non cerca la soluzione dell’enigma. Nell'atto l'indovinello della sfinge è l'asterisco dell'enigma della nominazione.
L’enigma introduce un varco per altri intrecci: per altre combinazioni e per altre combinatorie. Enigma che “non consente la risoluzione della tragedia né la conciliazione familiare”. L’Edipo di Armando Verdiglione non è l’Edipo di Freud.
Non c'è risposta all'enigma: nessuna soluzione. Il varco per altri intrecci è la questione del tempo che sospende ogni circolarità di tragedie e commedie. La domanda e la procedura e la cifratica. La questione della nominazione introdotta da Verdiglione, sfiorata da Freud con la rimozione e mancata da Lacan col nome del padre, intanto è la questione aperta. La questione dell’apertura trae con sé ciascun elemento linguistico che entra nella parola, per non qualsiasi ratio e per non qualsiasi diritto. «Trae con sé quella dell'imperativo del godimento: dove qualcosa era, bisogna che io avvenga»? La parodia, la satira, la beffa: sono modi dell’apertura, del due. Wo es war, soll ich werden di Freud è tratto in direzione dell’instaurazione dell’alinguistica, non del discorso freudiano, non della psicanalisi lacaniana, che “dura quel che dura” (Lacan, “La troisième”, 1974, registrazione audio di Patrick Valas). Il tempo come durata è lo stesso tempo logico prigioniero nel sofisma di Lacan in versione Dione, tiranno di Siracusa, “rivoltato” da una congiura.
L’impero e la sua costellazione linguistica? Una costante la loro elaborazione: La grammatica dello spirito europeo (Spirali, 2017) e Urkommunismus (Spirali, 2020) sono elaborazioni dell’impero.
«Dove qualcosa era, bisogna che io avvenga» non è l’imperativo del luogo del mito, che avvolge la parola originaria. Il “Wo” di Freud è ancora geometrale, c'è ancora una topica, quindi il topos, incerto fra lo spazio della parola e la topologia del discorso.
E il bisogno è intellettuale, senza soggetto. E l'occorrenza è intellettuale, cioè il mito avvolge la contingenza: ecco in tal modo gli imperativi del godimento e del desiderio e il dominativo del piacere. Parodia, questione di anoressia intellettuale.
Dominus traduce Yahweh nella Torà: questione di compimento, che resta linguistico nell’ebraismo e diviene realistico nel cristianesimo.
Quando nell'équipe della Bibbia, nel 1984, Verdiglione dice la parola “Signore”: si chiede chi è il Signore, nell’atto di parola. Formula l'ipotesi, che poi non ho più trovato pubblicata: «Il Signore è la parola». Pare scritto ora, e non nella modalità delebile della durata.
Il Signore è la parola e sfata il Signore della parola, il dominus e l’imperator della parola: despoti, tiranni e vampiri. Il signore della parola? Il nome del nome, il nome di dio, il nome dell’uomo, il nome del popolo, il nome del padre, il nome dell’Altro.
«Tra Giocasta e la Sfinge, tra l'invito a trascurare l'enigma e la necessità di risolverlo, tra la “tenerezza” e l'”ostilità”, in un rapporto obbligatorio in cui ne va della morte necessaria alla genealogia, Edipo, qualunque decisione prenda, s’imbatte nella piegatura del domestico nell'assolutamente indomestico, con un’emergenza ancora diversa dell’enigma.» Qualsiasi decisione prenda non la prende, la decisione dissipa la presa del soggetto, la decisione pragmatica sfata la presa del soggetto, dissipa il soggetto stesso che s’imbatte nella piegatura del domestico. E per questo vale la condizione dell'assolutamente indomestico, lo sguardo, lo straniante, il punto di fuga e di sottrazione.
Per noi un'emergenza ancora diversa dell'enigma la cogliamo “tra la tenerezza e l’ostilità”: l’enigma della costruzione ideale del bambino della parola tra l’affettività e l’aggressività, che sfocia anche nelle guerre di sistema e nelle loro dottrine di fratellanza e di fratricidio. Costruzione ideale che permane in Freud e in Lacan, fra la topica e la topologia.
«Aristotele voleva l'agrammaticale, l'arbitrarietà, l’alogos (che è una semplificazione universitaria tradurre con “irrazionale”) fuori della scena. E per lui alogos era il non sapere di Edipo connesso con Laio. Aristotele (Poetica 1470 a).
Ciascuno, Edipo nella “materia freudiana” è statuto e dispositivo, è ciascuno nella parola. Nel viaggio Edipo ignora come risolvere l'enigma: non c'è soluzione, ma l'enigma spalanca la via che ha qualcosa dell'avvolgimento, del pleonasmo.
La rappresentazione del sintomo non ha nulla a che vedere con il “passato”, con una famiglia arcaica, nulla con l'arcaismo, che è forgiato dall'idea dell’avvenire, dal presunto “già saputo”. «D'altronde il già saputo denega la ripetizione che esso dà così nel sintomo». La rappresentazione del sintomo non è il sintomo come metodo, questione che emerge sempre più nell’elaborazione di Armando Verdiglione.
Nella parodia «Il dubbio mina l'elevazione dell’io in quanto tale o del farmaco» (28). Il dubbio è strutturale, modo del due, dell’apertura. Come altro nome del soggetto, l’io è minato! E ancora di più nella sua elevazione. Non ho gli elementi da dove giunga questa “elevazione”, forse dalla Bibbia. C'è nella cabala l'elevazione: è per elevazione al quadrato dei numeri corrispondenti alle lettere che si compiono alcune narrazioni, più importanti della Storia narrata dagli scribi del potere.
Il due sfata il soggetto in quanto tale, nonché nella sua variabile farmacologica. Non è divina la questione della scrittura detta “sacra”. È la stessa questione poi della nascita della retorica a Siracusa. La stessa questione per cui Maimonide ha scritto con caratteri arabi in ebraico: ovvero chi legge i suoi caratteri arabi dice parole ebraiche. La parola è inderogabile, indistruttibile, integra. La censura del nomenklator è aggirata. La lingua ebraica è incomprensibile per il greco, per il latino, non solo per l’indecidibilità delle vocali tra le lettere, ma per la ginnastica della cabala, che “compie” la scrittura in modo che le altre lingue restino nei loro idiotismi. È anche così che la traduzione greca dei vangeli canonici è mancata, eppure quasi riuscita nella sua cancellazione dell’ebraismo. Questo è il fondo dell’antisemitismo, dell’odio per gli ebrei.
Dal dubbio procede il viaggio, procede ciascun elemento linguistico, con i suoi dispositivi delle arti del cielo e delle arti del paradiso.
L’elaborazione del posto, del luogo, dello spazio, della posizione, della localizzazione, è una costante dell’itinerario di Armando Verdiglione, che al debutto del 5 febbraio 1973 è un giovane di ventotto anni. E resta l’enigma di come avesse inteso la punta di molte questioni, di una portata inaudita. Mentre lo psicanalismo mondiale si gargarizza con il luogo dell’Altro, ecco il manifesto della psicanalisi della sua avventura: «Un'enunciazione che sbalza il parlante in un fuori-posto» (29). L’inconscio non ha luogo, la parola non ha luogo: non hanno luogo il nome, il significante, l’Altro. Il parlante, non un soggetto, non qualcuno, non chiunque, sbalza in un fuori posto: nessuno è mai uscito dalla posizione nella sembianza, nella dimensione delle immagini. “Basta un’enunciazione” per il folle volo, per la logica della follia. Logica che nel viaggio dei primi cinquant’anni si specifica e precisa come aritmetica. Il numero, intorno al quale errano i magnifici matematici, da Galois a Voevodsky: aritmetica e ritmo.
Se qualcuno della nomenclatura ha tutto in ordine, anche gli enunciati e le enunciazioni, anche le sue idee intorno al desiderio e al suo soggetto: si produce un'enunciazione che sbalza il parlante in un fuori posto? La questione chiusa lascia l’interlocuzione nell’ottundimento. Più che mancato è eluso l’ascolto.
Nell’atto è questione della posizione nella sembianza. Il carosello dell'immagine è lungo il filo del tempo che sfata il filo in cui «la malinconia vale da ricordo di copertura del lutto». Fatua è anche «la sua la “forma arcaica” come vorrebbe Abraham».
Abraham immagina e crede nella forma arcaica, nell’inconscio arcaico, non lontano dall’orticello junghiano. Esisterebbe l'arcaismo e l'arcaismo si ripete compulsivamente, e quindi ognuno è nel penale e nel penitenziario. È anche la condanna del decostruzionismo a distruggere un arcaismo per costruirne uno più potente.
Armando Verdiglione conclude il capitolo: «Spesso lo statuto morale e sociale del soggetto si impone appunto con la malinconia, mentre il lutto ancora si avvede dell'irruzione del sembiante per promuovere un altro ritiro della libido». Era dicembre 1976. Il mito. E si aprono altre piste da esplorare e altre letture in punta di scrittura. La finzione del soggetto: la laicizzazione dell’anima. Il regno della malinconia, dell’arcaismo che impone il regno dei soggetti: pochi soggettivanti e masse di assoggettati. Il lutto quale sensazione originaria, che sfata la sua riproduzione economica come “elaborazione del lutto”: il lutto è inelaborabile. La condizione del lutto è l’irruzione del sembiante, dello specchio. È preso nella parodia il “ritiro della libido”, ossia non è accettata la pompa magna di Freud e non solo del freudismo. La psicanalisi di Verdiglione non è la psicanalisi di Freud. Ecco allora che il ritiro della libido è l’asterisco dell’instaurazione del sembiante.
Appuntamento con le note in margine della lettura del capitolo “Sovversione della ragione”.