L'amaro apologo di un uomo senza memoria
lettura: Di sé con gli altri di Stelio Mattioni
Il giorno in cui l'io narrante, spalancando d'improvviso gli occhi nel buio più completo, immerso in un fluido opaco e indistinto, segue un filo di luce azzurra ritrovandosi ad A., borgo montanaro di duemila anime, è già un uomo fatto, ma non ricorda nulla della sua vita precedente, non sa il suo nome, né quanti anni abbia, né come sia arrivato fin lì. Amnesico e confuso, e perciò docile. Pertanto, quando gli viene incontro Annina, la matta del paese, la nana, il “coso”, come viene chiamata da tutti, le si affida, senza fare domande.
Così inizia Di sé con gli altri, romanzo del triestino Stelio Mattioni, che si inserisce nel solco della scrittura mitteleuropea del XX secolo, scritto nel 1996 e rimasto a lungo inedito fino alla prima pubblicazione per Vydia, piccolo editore indipendente di Macerata, nel 2018. Con questo libro, scritto solo una anno prima della morte, Mattioni torna alla potente vena favolistica degli inizi che tanto piacque a Roberto Bazlen e che lo fece entrare – esordiente - nei primi dieci titoli pubblicati dall'Adephi. Con grande forza onirica qui si racconta la favola, che favola non è, dell'esistenza umana, che dall'attutito liquido amniotico iniziale si struttura inevitabilmente in base al rapporto con i propri simili.
Per l'uomo senza nome, senza passato né presente incomincia un imprevedibile apprendistato di vita che lo porta in una catena di piccoli paesi da A., a B., C., e via di seguito tutto l'alfabeto, in un territorio governato da un Partito unico, spaccato in due fazioni in lotta per il predominio. La narrazione si trasforma, a mano a mano che si procede nella lettura, da metafora dell'esistenza umana in parodia politica, esplorazione dei rapporti uomo-donna (e in particolare della misteriosa e tenace sessualità femminile), e analisi del potere che l'essere umano, per sua natura, tende ad esercitare sull'altro, specie se diverso da sé. Come avviene spesso nelle storie immaginate dagli scrittori visionari, “con le antenne” alla Orwell, ne esce un racconto assolutamente contemporaneo anche se scritto nel secolo scorso.
Prima di entrare nel testo e sondarne i vari risvolti, importa sottolineare come questo libro, per chi conosca e abbia una visione d'insieme della produzione di Mattioni, costituisce una specie di sintesi di temi insistenti nella sua narrativa. Ricorrente il tema del doppio (che è l'altra metà di uno o uno di due? Questione non da poco, che lo stesso Mattioni pone ma lascia aperta), ovvero del sosia che ciascuno custodisce dentro di sé e che in certe circostanze finisce per erompere, proiettandosi al di fuori, in un gioco di specchi e di rimandi. Tema peraltro di cui non si può disconoscere la matrice nella letteratura russa del XIX secolo. E poi quello della ricerca del senso della vita così come l'uomo la conosce e che evidentemente non basta, per cui si pone costantemente domande, che vorrebbe appagare anche attraverso il suo doppio, ma a cui non ha mai risposte, pena il suo essere uomo.
Torniamo dunque al nostro protagonista che nudo, ignaro, senza ricordi e senza nome, per prima cosa viene battezzato, nel senso che dagli altri gli viene attribuito un nome, Giorgio Di Giorgio, per poterlo identificare ben bene. Poco importa che sia un nome inventato: “importa quello che sei, e soprattutto quello che pensiamo di te”, gli dicono. Una volta assegnatagli un'identità certa quanto fasulla, viene istruito a dovere e avviato alla carriera politica, in pratica allevato per diventare un giorno il sostituto-sosia del Capo del Partito unico (dalla sua – si dice - una certa rassomiglianza). Questione, questa del doppio, che doveva intrigare parecchio Mattioni perché affrontata fin da subito, nel libro d'esordio Il Sosia, appunto, uscito per Einaudi nel 1962. Quattro racconti lunghi, Il sosia, L'anonimo, Locanda ex Amalia, Testa di gallo, Le cinque lune, ma una sola insolubile disperata angosciante atmosfera. Nei personaggi principali c'è un sosia, quasi sempre difforme, che a sprazzi esce per scompigliare le carte dell'esistenza. Sarebbe anzitutto interessante indagare il substrato culturale in cui il libro è maturato. Non soltanto dalla lettura di Gogol e Dostojevskij, come sottolinea la bandella della prima edizione del libro ( “i protagonisti sono gli eredi degli impiegati moscoviti o pietroburghesi di Gogol, del Dostojevskij giovane o del primo Cechov, dei quali si rinnovano i tratti con una angosciosa trepidazione esistenziale tutta moderna”), ma anche della scuola viennese probabilmente, e da echi del realismo slavo. Il sosia, l'ombra, il riflesso, lo specchio, sono espressioni di questo “altro da sé” che con il sé mantiene un legame forte, spesso rappresentandone il contrario o il lato oscuro inespresso. E' un punto cruciale per capire come in Mattioni la questione del doppio sia uno strumento d'indagine per scrivere dell'esistenza, la propria e quella degli altri, alla ricerca appunto di un senso. Più che ricerca dell'oscurità dell'inconscio freudiano, è un tentativo di rappresentare con precisione la vita che si svolge intorno. Tutta l'opera letteraria di Mattioni prende forma dalla scoperta che il modo oggettivo, le certezze a cui ciascuno di noi finisce per aggrapparsi denominandole con parole precise, sono solo una delle infinite scenografie intercambiabili montate sul palcoscenico sul quale rapprensentiamo la nostra esistenza. Di tanto in tanto, le scene di ordinaria normalità si fanno da parte. Scolorano per lasciare spazio ad altre realtà, simili eppure appunto difformi. A situazioni impreviste che finiscono per rivelarci “il lato oscuro della luna” ovvero il nascosto delle cose.
Ebbene, Di sé con gli altri, scritto negli ultimi anni di vita, riprende e amplifica due dei racconti d'esordio, Il Sosia e L' Anonimo. Nel primo, il protagonista Vasco conduce la vita grama e minuta dei piccoli impiegati di provincia. E finisce per diventare un tipo universale, che ci somiglia, o somiglia ai più, che si sentono oppressi dai doveri e falliti per propria colpa. In Vasco confluiscono i veleni dell'epoca moderna, sostanziale incomunicabilità, frustrazione, aridità morale. A un certo punto addirittura sconfina nel simbolo, che potrebbe ripetersi all'infinito. Tutto cambia, nella vita di Vasco, anche se solo per un limitato periodo di tempo, quando in scena compare un suo sosia, uno che conduce a differenza sua una vivace vita sociale, che va nelle sale da ballo, frequenta le ragazze e addirittura si sposa, e i suoi colleghi ostili e diffidenti prima, perché lo credevano un misantropo, cambiano radicalmente atteggiamento nei suoi confronti spiazzandolo (“Un suo sosia che andava al cinema con la ragazza del filobus! Oppure la ragazza aveva un fidanzato che gli somigliava: impossibile, impossibile!”). All'improvviso un uomo che ha sempre tenuto alla sua tranquillità, che si realizza compiutamente solo quando sta solo, vive una seconda vita, senza nemmeno capire se sia reale o meno. La morte imprevista di lei, comunicata dagli altri che lo avvistano al funerale, pone fine a questa fantasia, e Vasco, che l'aveva vissuta come un'allucinazione, ripiomba nelle abitudini di prima, cioè in una nuova e profonda alienazione, in una “demonica reticenza alla vita”, come scrive Claudio Magris. A testimonianza, come scrive Cristina Benussi nella prefazione a Interni con figure che “a governare il mondo non è un principio d'ordine, morale o logico, ma il guizzo inquietante dell'assurdo”.
Ancora più prossimo a Di sé con gli altri è il secondo racconto, L'Anonimo. In una “normale” e modesta famiglia, quella dei Braini, irrompe l'assurdo il giorno in cui la disabile Sandra scende “nel quadrangolino che si apriva tra i palazzi” per stendere la biancheria e si ritrova tra i piedi uno sconosciuto, nudo e svenuto. Accorrono tutti e concordano: “non possiamo lasciarlo qui, possono vederlo!”. Così portano il corpo dentro casa, e lo stendono sul divano. Quando lo sconosciuto si sveglia, non ricorda chi è, non ricorda come è arrivato fin là. Ma è buono, ha i tratti gentili, la famiglia gli si affeziona subito. Gli affibbiano un nome, il nome significante di Ichs, e un'origine. Gli procurano documenti nuovi. Diventa parte della famiglia (“Vi siete accorti che sembra uno delle nostre parti? Mi pare di conoscerlo, o comunque non è una faccia nuova”) e finirà conteso dalle due donne giovani che vivono in casa, con un finale solo apparentemente felice. Evidente l'analogia con la condizione di Giorgio Di Giorgio, lui pure buono e gentile prima di venire corrotto. E questo indica che le questioni che interrogavano Mattioni all'esordio e che hanno costituito la molla della sua scrittura (“scrivo perché curioso di capire perché la vita è come è, e gli uomini sono come sono”) non hanno trovato risposta, e questa alla fine è già una risposta.
Da Camàn, romanzo inedito sull'esperienza di prigionia in Egitto dopo la battaglia di El Alamein (ricavato dal taccuino scritto sulla branda dal dicianovenne tenente Mattioni: “Ogni mattina mi svegliavo all'alba per ascoltare il silenzio del deserto al di là di reticolati (…). Stavo per lasciare il mio posto di osservazione quando vidi arrivare un bambino. Era ben strano un bambino dove non potevano esserci né bambini né vecchi, ma il bambino era là; e poi... cos'è che può dirsi veramente strano a questo mondo? (…) - Senti – gli dissi – che tu venga da Oriente o da Occidente, hai visto se nei reticolati c'è un varco per passare di là?-
Il bambino tracciava segni sulla sabbia, cancellandoli subito con la mano aperta.Non rispose subito. Vidi che arrossiva. - Vengo da quella parte – disse infine – ma non chiedermi perché. - D'accordo, ma io ti ho chiesto se c'è un modo per passare di là.
– Non lo so - mi rispose.- Quando mi misi in cammino avevo gli occhi chiusi, come se fosse tutto buio intorno a me.
Poi giunse un vecchio. Mi ritornò spontanea la stessa domanda che avevo rivolto al bambino. - Senti – gli dissi - indifferente da dove sei partito per giungere fin qui, hai visto se c'è nei reticolati un varco per passare di là?
La risposta che mi diede fu secca come il suo corpo: - Non lo so. Durante il viaggio ho tenuto gli occhi ben aperti, ma non mi sono reso conto di niente.
Poi si mise a scavare nella sabbia. - Ma non cerco niente, se è questo che vuoi sapere. Nella mia vita ho cercato, ho cercato, ma sempre senza esito.
Facciamo un salto di cinquant'anni e ritorniamo quindi a Di sé con gli altri, romanzo complesso e simbolico. La premessa anche qui è che l'esistenza umana nasce dal nulla e al nulla originario ritorna. La condizione del protagonista è metafora del mistero della vita. Parte dal buio più completo da cui non ricava nessuna informazione sensoriale: “una sensazione stupefacente la mia, come di esistere nell'inesistente”. Da qui le domande che continuamente si pone e che rimangono senza soluzione. Questa l'humana condicio. Altro piano di lettura, la parodia del mondo politico di tutti i tempi e di tutti gli orientamenti, anche se apparentemente nel libro prende una direzione specifica. Il nostro protagonista si avvia istintivamente lungo il viale che svolta a sinistra e osserva che tutti si chiamano compagni, e che tutti sono ridotti a pedine per fini che ignorano, costretti a fare ciò che il Partito ordina, senza sapere né chiedersi perché. Simbolo di questa realtà è il palazzo del Partito dove alligna un clima di intrighi, misteri e congiunture. LUI rappresenta la vecchia classe politica che ora vuole servirsi di un uomo “nuovo” per continuare il vecchio sistema. Rappresenta una classe malata di potere che cerca di strumentalizzare individui che avanzano nella carriera tanto più sono obbedienti e ottusi. Una visione abbastanza desolata della condizione esistenziale che si riflette sulla realtà sociale: difficile essere padroni della propria vita senza farsi piegare dagli imprevisti e dai propri simili. Di sé con gli altri, scrive Claudio Magris, “è l'affresco di un'assurdità e di una reificazione che, anni dopo la morte di Mattioni, sono divenute ancora di più la nostra condizione, la nostra stagione, se non all'inferno, in un limbo agitato e fremente, in un mondo che illude di offrire tutto a tutti ed esalta la libertà degli individui e dei popoli distruggendone contemporaneamente le premesse e le possibilità”. Magris, eccellente germanista, cita come riferimento Kaspar Hauser, il ragazzo di cui narra la tradizione popolare tedesca, comparso d'improvviso dal nulla in una cittadina: “una figura del niente originario, di assoluta solitudine e incompatibilità con la società, ripresa da vari autori tedeschi.
Per cercare di trovare evocazioni per la scrittura di Mattioni, negli anni, sono stati tirati in ballo grandi autori, Dostojevskij, Gogol, Kafka - spessissimo - per la sua surrealtà, fino a Italo Svevo per le innegabili affinità di ambientazioni e di vita, ma sono tutte filiazioni azzardate, tant'è che Mattioni le rifiutava tutte. Perciò si intenda come semplice suggestione la citazione, per Di sé con gli altri, dell'unico romanzo di Alfred Kubin, talentuoso illustratore boemo che scrisse il suo unico libro nel 1908 per liberarsi dalla paralisi creativa che lo colse in seguito alla morte del padre. Nel romanzo intitolato L'altra parte si narra della città Perla, “una città gravata da un mistero permanente”, si scrive nell'edizione Adelphi del libro, concepita come un insieme di ruderi e antichità corrose da passato, “una città artificiale, una messinscena perfetta nella quale si muove una popolazione di nostalgici che fuggono la vita del loro tempo”. In questa città c'è un mistero nel mistero: un sovrano, un essere inafferabile e proteiforme che tiene sotto scacco uomini e cose e le accomuna in un unico allucinante e assurdo disegno. Mattioni ha di sicuro letto i russi e Kafka, ma avrà letto Kubin? Non è dato sapere. Alla fine non è fondamentale. Perché il nostro autore racconta le sue storie in modo del tutto originale. Storie immaginate per cercare di capire una vita come la nostra, reale solo perché l'abbiamo organizzata in modo che ci sembri tale, e sacra solo perché ci siamo inventati di essere figli di Dio. Chissà fin dove lo hanno portato le sue indagini, ma intanto, ha scritto!