Arte e Cabala
Antinomia o incontro?
Prima della creazione, l'Infinito o Ein-Sof riempie l'universo senza frontiere.
Ha operato una contrazione nella sua Luce affinché i creati fossero capaci di sopportarla.
Eppure, i ricettacoli non hanno potuto raccogliere neppure questa luce limitata e si è prodotto ciò che Rabbi Itzhak Luria ha chiamato la rottura dei vasi, Shevirat Ha Kelim. Scintille di luce sono ormai disperse nei mondi.
Da questa luce primordiale, un raggio solo attraversa i mondi, Kav Yashar, che incontra un resto di luce: Infinito, il Reshimu, una sorta di memoria passiva dell’Infinito. La loro capacità di attrazione e di allontanamento, durante un tempo lunghissimo, creò finalmente il primo atomo, la prima materia.
Allo stesso modo, nella creazione artistica, l'artista è obbligato a creare uno Zimzum, una contrazione, per costruire uno spazio libero, indipendente, la matrice in cui s'inscriverà la sua opera.
Invece di esserci un accrescimento, l'opera esige all'inizio una diminuzione di luce, un restringimento dello sguardo, poiché sta per passare dalla libertà infinita di tutti i possibili alla fissazione atomica nello spazio e nel tempo.
Lo Zimzum che precede ogni opera è in fondo l'unica possibilità per la luce primordiale d'inscriversi nel mondo della materia, del finito, dell'oscurità, delle pulsioni, della scelta fra i due aspetti dell'albero della conoscenza.
Quindi, quella restrizione è vista nella cabala luriana come esilio di Dio, esilio dell'artista.
Lo svelamento del progetto è avvenuto nel libro dello Zohar, attraverso emanazioni o Sefirot, astrazioni assolute che vengono dalla parola ebraica Sefer, libro, o Mispar, numero matematico, o anche Sipur, narrazione e Sapir, pietra di zaffiro incolore, ma nella quale si rifletterebbero tutti i raggi di luce, in tutte le sfumature dell'arcobaleno.
Come se l'accesso all'Ein-Sof potesse avvenire soltanto dalle Sefirot, medium tra infinito e finito.
Questo mondo di forze, luci, emanazioni, ricettacoli, in cui circola la luce, è attraversato da due principi essenziali: la volontà di creare, di dare Le Asphiah, e quella di ricevere, di limitare.
Si puo parlare di una totalità strutturale delle forze dell'emanazione e allo stesso tempo dell'individualità di ciascuna di esse.
Lo sguardo dovrebbe abbracciare tutte le forme potenziali di una forma sola per accedere all'essenza o all'unita.
La parola ebraica Ithavout riflette l'impossibilità di cogliere un’essenza altrimenti che nella multiforme infinitezza delle sua metamorfosi. Non è strano quindi che il nome vero di Dio rivelato a Mosè fosse l'espressione: ''Sarò ciò che sarò.''
L'essenza è soltanto movimento e divenire. La cabala vede nell'arte non l'esperienza fissata delle forme ma la dinamica della vita, il ritmo del cosmo.
La quarta dimensione, la visione dello spazio-tempo, è inseparabile da questa visione.
Come è scritto a proposito del ‘momento del Sinai’: ''Videro le voci", la gente ha visto l'essenza stessa della voce, vale a dire le onde che la compogono.
Se l'arte scopre l'invisibile del mondo e dell'esperienza umana, allora i simboli visivi adoperati nell'arte ebraica sono stati senza dubbio influenzati profondamente dal pensiero cabalistico.
Attraverso tutta la tradizione, ciascuna parola biblica - e questo unicamente in ebraico - può avere valore di significante e di significato. Tutto ciò che esiste nel mondo materiale ha un corrispondente nell’ambito delle Sefirot. L'utilizzo dei simboli dinamici e aperti evita sia la dogmatizzazione sia la cessazione di una percezione della mutevolezza. È come se il commentatore o l'artista nella loro interrogazione costante del simbolo, cercassero di marcare una realtà che si sottrae sempre all'osservatore.
Possiamo vedere come l’artista Tobia Ravà, per esempio, ha realizzato una lingua in pittura, un linguaggio matematico che riflette la realtà del mondo e della vita, la straordinaria complessità dell’universo e delle sue regole. Certo che il profano non iniziato alla cabala, perde molto del significato, ma almeno può averne l'intuizione.
Lettere e cifre sono il segreto matematico, fisico, astrofisico della realtà. Ravà l’ha perfettamente capito, quindi riesce a realizzare una cosa difficilissima: l'incontro tra arte e cabala.
Per esempio, come l'artista israeliana Esther Guenassia parla della sua opera: "Dio e il cosmo non possono essere rappresentati... La pittura non si vuole copia della realtà. Quindi le lettere ebraiche e soltanto esse possono disvelare i segreti divini, le regole ultime del creato… L'artista deve essere tanto scrupoloso quando le utilizza, perché non sono mai decorazione o illustrazione: sono la porta della vera meditazione ed anche del campo magnetico del cosmo.''
Dorit Feldman che vive a tel aviv dice che le fotografie e opere in media misti su rame sono scelte da una nuova seria intitolata ''mappa di trazmutazione''. La mappa e la descripzione grafica di un ambiente nel senso culturale e rifletta il modo di percipere la realta........il riferimento alla TERRA DEL SANCTO -------e no alla terra sancta che non esiste nella tradizione------eretz ha kodesh, nelle mappe antiche ha creato un legame concettuale tra il corporeo e il sublime.......nella parola MAPa in ebraico---------la lettera MEM e l'acqua, il flusso della fonte del supra cosciente, il PE e la bocca, la forza del dire e il HE—il pensiero, il soffio vitale, la parola e l'azione...
France Lerner, che vive a Gerusalemme, in una tecnica molto particolare di disegno riesce a fare vedere la tessitura del cosmo sotto le lettere. E nel video delle 12 sculture di bronzo sul soffio e la reanimazione, s'indovina l'idea centrale della kabbala del flusso della vita che se si interrotta un istante conduce alla morte..........''IO HO MESSO DAVANTI A VOI LA VITA E LA MORTE E VOI SCEGLIERETE LA VITA" dice Mosè al popolo nel deserto...............
Belu Fainaru, artista di Haifa, dice anche lui il desiderio, l'aspirazione del artista di cacciare l'essenza delle cose nel loro flusso infinito. Assenza e presenza si ritrovano al cuore delle sue opere, anche la memoria, il NOME, la polvere della terra....e le lettere sempre per spiegare la composizione del cosmo e le sue regole.
Due o tre testi vanno ad illustrare la nostra tesi. Il primo è il Trattato dei Palazzi, Zohar, Berechit 38 a, dove Rabbi Shimon dice: “per creare il mondo, l'Infinito incise i segni segreti del segreto della fiducia nelle trasparenze eminentemente segrete. Con un solo fremito incise nel basso e incise nell'alto, l'uno di fronte all'altro, affinché, unificandosi perfettamente, l'insieme fosse UNO. Incise dunque i segni delle lettere in alto e in basso e con esse creò i mondi''.
Il secondo il Talmud babilonese, trattato Yoma 7: ''Bezalel, il primo artista nelle storia d'Israele, sapeva come associare le lettere che erano state utilizzate per creare la terra e il cielo".
Il terzo il Sefer Yezirà, 1: ''Per 32 vie di saggezza, YAH, YHVH, il Dio d'israle, onnipotente, eccelso, sublime, ha tracciato e creato il suo mondo sotto tre forme: la scrittura, il numero e la parola.
Si tratta di dieci sefirot e di 22 lettere dell’alfabeto.